Jurgen Habermas, L’inclusione dell’altro. Una recensione

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica (Universale economica. Saggi)

— — —

Questo libro è il frutto di riflessioni concernenti i campi della morale, del diritto e della politica in relazione alla società contemporanea. Il tema affrontato è quello dell’ “altro” visto come immigrato, come appartenente a minoranze etniche oppure come membro di gruppi e ceti sfavoriti. Per far emergere il pensiero dell’ autore ho pensato di mettere in evidenza il paragone delle sue elaborazioni con quelle di altri due studiosi: Schmitt e  Rawls.
Continua a leggere

Non citate più Pericle era un populista (Umberto Eco)

L’articolo, pubblicato su La Repubblica (14/01/2012) è un estratto del saggio di Umberto Eco “Figlio di una etera” dell’Almanacco del Bibliofilo, a cura di Mario Scognamiglio, che  s’ intitola “La subdola arte di falsificare la storia” (Edizioni Rovello)

— — —

Si stava celebrando in piazza del Duomo, strapiena di festanti, la vittoria di Pisapia alle amministrative, si succedevano sul palco politici, cantautori, attori, artisti, e uno dei nostri comedians più bravi mi stava  dicendo che andava a leggere il discorso di Pericle agli ateniesi, come elogio della democrazia.  lo gli avevo detto: “Stai attento, perché Pericle era un figlio di puttana“. Lui aveva preso il mio giudizio come una boutade, aveva riso, ed era salito. Dopo, quando era disceso, mi aveva detto: “Sai, mentre leggevo mi accorgevo che avevi ragione“. Pericle era un figlio di buona donna o, come avrebbero detto ai suoi tempi, per esprimersi in modo più gentile, figlio di una etera. Non più di tanti altri politici e, tanto per dire, Machiavelli lo avrebbe ampiamente giustificato, per carità. Ma il suo discorso agli ateniesi è un classico esempio di malafede. All’inizio della prima guerra del Peloponneso, Pericle fa il discorso in lode dei primi caduti. Usare i caduti a fini di propaganda politica è sempre cosa sospetta, e infatti sembra evidente che a Peri de i caduti importavano solo come pretesto: quello che egli voleva elogiare era la sua forma di democrazia, che altro non era che populismo – e non dimentichiamo che uno dei suoi primi provvedimenti per ingraziarsi il popolo era stato di permettere ai poveri di andare gratis agli spettacoli teatrali. Non so se dava pane, ma certamente abbondava in circenses. Oggi diremo che si trattava di un populismo Mediaset.

Continua a leggere

Federico Sollazzo, Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Una recensione

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Totalitarismo, democrazia, etica pubblica. Scritti di filosofia morale, filosofia politica, etica
— — —

a cura di Giacomo Pezzano

Hannah Arendt (1928)

 Questo testo di Federico Sollazzo ha prima di tutto il pregio di essere chiaro e non cercare un linguaggio volutamente difficile da decifrare, spesso peraltro sintomo di mancanza di contenuti, ma anche quello di cercare di fornire una visione ampia che – il sottotitolo lo evidenzia da subito – mira a costruire un primo ponte «filosofico» (senza alcuna pretesa di definitività, ma non per questo senza pretese di stabilità – comunque provvisoria) tra morale, politica ed etica. Come nota con precisione Maria Teresa Pansera nella presentazione, l’Autore assume una prospettiva che è insieme «filosofica, ma anche storica, politica, sociale e psicologica» (p. 10), ma mi sento di dire di più, è una prospettiva anche se non soprattutto antropologica, anzi, che proprio perché umanistica in senso ampio può essere poi filosofica, storica, politica, sociale e psicologica. Infatti (anche ciò è ben colto da Pansera), il principale elemento propositivo avanzato nell’opera è una caratterizzazione della base umanistica dell’etica, rintracciata in un insieme di necessità e capacità psico-fisiche (biologiche ed emozionali, che per l’Autore non vanno in alcun modo confuse con quelle emotive) che identificano la natura umana (l’uomo in quanto uomo), ma che allo stesso tempo non possono realizzarsi se non tramite una pluralità di modi storicamente diversi e contingentemente situati (dando in ultima istanza vita a uno scenario multiculturale e multietnico). I diversi contributi dell’opera manifestano al contempo l’uno rispetto all’altro indipendenza e organicità, quasi come tasselli di un mosaico (è peraltro l’immagine presentata da Sollazzo stesso nella premessa: p. 13) che se colti insieme nelle loro reciproche relazioni e interconnessioni presentano un quadro sintetico unitario, ma che se esaminati isolatamente sono comunque in grado di restituire un’immagine autonoma e chiara. Presenterò qui brevemente questi tasselli, isolando per ognuno di essi quella che ritengo essere la tesi centrale espressa dall’Autore: i §§ 1-4 presenteranno in nuce la parte dell’opera intitolata «Filosofia morale», i §§ 5-12 quella intitolata «Filosofia politica» e i §§ 13-18 quella intitolata «Etica».

  Continua a leggere

Contro l’homo academicus. Il corpo vorace delle logiche accademiche

“Il capitale universitario si ottiene e si conserva attraverso l’occupazione di posizioni che permettono di dominare le altre posizioni e i loro occupanti; ad esempio, le istituzioni responsabili del controllo all’accesso al corpo, le giurie dei concorsi dell'”Ecole normale” e del dottorato, e il  Comitato consultivo delle università: questo potere sulle istanze di riproduzione del corpo universitario assicura ai suoi detentori un’autorità statuaria, una sorta di attributo di funzione che è molto più legato alla posizione gerarchica che a delle proprietà straordinarie dell’opera o della persona e che si esercita a rotazione rapida non solamente sul ​​pubblico degli studenti, ma anche sulla clientela dei candidati al dottorato, all’interno del quale si reclutano di regola gli assistenti e che è situata in una relazione di dipendenza diffusa e prolungata” (Jean-Pierre Bourdieu, Homo academicus)

L’università ha bisogno di studenti soltanto per il suo auto-sostentamento, come corpo, nella sua autoreferenzialità.

di Jacopo-Niccolò Bonato

 L’università come istituzione nasce in Europa attorno l’undicesimo ed il dodicesimo secolo. La più antica università europea è l’ateneo bolognese, fondato attorno al 1088. Lo scopo iniziale delle università era quello di rendere libero ed indipendente il sapere, disponibile per tutti coloro che avessero voluto e potuto studiare. Le università nacquero con l’intento di unire studenti e docenti in una istituzione e corporazione autonoma in grado di autoregolamentarsi, staccandosi dalla logica e dalla politica delle scuole monastiche e vescovili, troppo legate ad esigenze dogmatiche religiose. Spesso erano gli stessi studenti ad assumere e remunerare gli insegnanti ed eventualmente a cacciarli nel caso di incompetenza.

La situazione odierna è molto diversa. Si pensa che l’università sia composta da facoltà, consigli, assemblee, dalle figure istituzionali, cioè dai i suoi vari organi costitutivi. Proprio per quel che significa la parola “organo” in italiano, si pensa che l’università, come un corpo, sia fatta in senso stretto da organi. “Togli gli organi e toglierai quel corpo che è l’università!”. Nulla di più erroneo. La linfa dell’università sono i soli studenti, infatti, se si tolgono quelli la stessa università non avrà più alcuna funzione: le aule saranno deserte, i professori non insegneranno più nulla a nessuno, non avranno più studenti e di conseguenza non saranno nemmeno professori. Gli stessi “organi” non avrebbero più alcun senso, non funzionerebbero più: perché deliberare programmi didattici e quant’altro se non c’è più alcuno studente infatti? La metafora del corpo è essenzialmente sbagliata. L’assolutizzazione dell’organo, nella metafora della corporeità, svuota l’università, cioè la distrugge, anche laddove l’università fosse effettivamente un corpo composto di organi. Colmare l’università di organi, svuota e distrugge la stessa università come corpo. La metafora del corpo si dimostra così contro se stessa, contro la stessa corporeità. L’esaltazione della corporeità è contro la corporeità. Perché esaltare il corpo, se non per l’oscuro motivo che si cova qualcosa contro di esso? Modo di sublimazione e nascondimento. Il corpo distrugge il corpo.

Continua a leggere

Adorno, Minima Moralia. Una recensione di Gabriele Ottaviani

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Minima moralia. Meditazioni della vita offesa (Einaudi tascabili. Saggi)

— — —

Meditazioni della vita offesa”: il sottotitolo già dice tutto. Centocinquantatre aforismi (per quanto decisamente meno sintetici di quanto si sia portati a considerarli avendo una conoscenza generica di quelli più consueti, che arrivano quasi a essere solo brevi sentenze, motti, detti proverbiali), non uno di più, non uno di meno, scritti tra il 1944 e il 1947 ed editi per la prima volta nel 1951, che in apparenza possono sembrare quasi un puro e semplice esercizio di stile, un’esclusiva e disincantata divagazione pressoché senza meta;  in realtà costituiscono i fotogrammi della pellicola del film, girato da Adorno  (1903-1969) in vesti forse più di operatore che non di regista o sceneggiatore, dell’uomo occidentale, che si muove lungo un orizzonte che interessa l’ambito sociale, quello culturale, la dimensione politica, e a cui il filosofo, sociologo e musicologo che abbandonò per gli Stati Uniti la sua terra natia, la Germania (quando questa si vide invasa dall’orrore del Nazismo) non rinuncia mai di concedere la possibilità del riscatto.

Continua a leggere

Marcuse, L’uomo a una dimensione. Una recensione di Stefano Lechiara

Un fotogramma di Metropolis (1927), di Fritz Lang

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): L’uomo a una dimensione (Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie)

— — —

Antesignano di idee rivoluzionarie, “Maestro della nuova sinistra”, “apologeta del Dio Marx” ed oracolo di una società costruita ex novo sul presupposto di una liberazione totale dell’umanità, oppure marxista eretico” e visionario, nonché “irrazionalista di sinistra” e precursore di ideologia oscurantista? La vasta produzione di Herbert Marcuse, poliedrica figura di intellettuale germano-statunitense ed eminente rappresentante della Scuola di Francoforte, risulta aliena da un’interpretazione sostanzialmente condivisa in senso plurilaterale. Parimenti la sua vita, ricca di avvenimenti biobibliograficamente significativi, pare dividere gli studiosi. Essa ha suscitato la disapprovazione da parte di coloro che si presero la briga di evidenziarne la relazione (apparentemente antinomica) con la sua opera scritta (vedi la “Pravda”, organo di stampa dell’URSS) sì da giungere ad un’alacre condanna che ha il sapore di una scomunica. Nondimeno Marcuse, nell’ambito del ribellismo sessantottino che infuriava su scala globale, riscosse un successo e un’approvazione che sfiorarono la mitizzazione fanatica. In tal periodo difatti, si era quasi dappertutto gridato nei cortei e scritto sui muri: “Mao, Marx, Marcuse”. La prerogativa di Herbert Marcuse (che contraddistingue i più grandi) è quella di dividere così come inaugurare prospettive innovative e comprensibili, con ogni probabilità, in epoche piuttosto lontane. Il filosofo sembra quindi interessare non soltanto come interprete di fenomeni sociali ma, in primis, in quanto esso stesso fenomeno sociale da interpretare. Il pomo della discordia è costituito dalla sua opera più celebre “L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata” (1964), edita a Boston nel momento in cui egli era poco più che un professore settuagenario e conosciuto per lo più negli Stati Uniti (ove si era stanziato negli anni della seconda guerra mondiale a causa della persecuzione nazista imperversante nella sua Germania).

Continua a leggere

Michel Foucault, Gli anormali. Una recensione critica

Dino Valls, De proportione

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975) (Universale economica. Saggi)

— — —

Il corso universitario di Foucault raccolto in questo libro e finalmente tradotto in italiano è significativo per farsi un’idea dell’immenso lavoro di archivio e della dedizione dello studioso nella sua attività di ricerca contro-disciplinare. Anche in questo caso, come in altri suoi lavori dedicati alla follia e alla sessualità, Foucault mostra il suo talento nella decostruzione e nell’archeologia dei saperi, portando alla luce documenti storici sorprendenti e riesumando le figure storiche che li vedono come protagonisti. Ma è, oltre all’analisi, la sintesi di tali documenti, il taglio critico ad essere suggestivo,  mai definitivo,  abbastanza suggestivo da stimolare ulteriormente la ricerca genealogica in chi voglia seguire le orme dello studioso francese. In effetti, questo stimolo alla ricerca ulteriore era uno degli scopi principali di questi studi. Situate come sono tra “Sorvegliare e punire” (febbraio 1975) e “Storia della sessualità” (primo volume, ottobre 1976), queste lezioni contengono analisi più sviluppate di alcuni temi già affrontati dall’autore o che saranno meglio approfonditi nel suo futuro.  Foucault affronta questioni quali la confessione, la repressione, la medicalizzazione della famiglia, la nascita della psichiatria, e il pervertito sessuale. Inoltre, le lezioni esplorano temi e figure che sono meno centrali o assenti in altri lavori: il “mostro”, l’incesto, il cannibalismo, la stregoneria, la possessione, e la scoperta culturale dell’ “istinto” come fondamentale per l’emersione dell’ individuo anormale.  Temi che sono quasi degli abbozzi di altri suoi libri. I lettori  che sono rimasti delusi del fatto che Foucault non abbia mai realizzato i volumi promessi sulla confessione, l’isteria, la coppia maltusiana e l’onanismo, si spera vengano risarciti abbondantemente in queste pagine. Articolerò questa recensione in due parti: nella prima delineerò i punti salienti di questo libro, nella seconda mi occuperò criticamente di due personaggi che emergono nelle analisi genealogiche di Foucault: il caso del presunto maniaco sessuale Charles Jouy e la sua presunta vittima, Sophie Adams. L’analisi di questo episodio è efficace non solo nel mostrare i limiti di alcune sue analisi, ma anche nel mostrarne i pregi ed i reali obiettivi.

Continua a leggere

John Stuart Mill, Saggio sulla libertà. Una recensione di Gabriele Ottaviani

John Stuart Mill

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Saggio sulla libertà

— — —

John Stuart Mill, nato nel 1806, il venti di maggio, a Pentonville, un distretto di Londra (laddove nel 1902 risiederanno anche Lenin e la moglie) e morto ad Avignone sessantasette anni dopo è senza dubbio una delle voci più interessanti, chiare e autorevoli della filosofia e dell’economia del Diciannovesimo secolo, il secolo che precedette quello “breve” per eccellenza; un pensatore di levatura francamente straordinaria, che ha influenzato molte delle opinioni che sono venute a palesarsi e a formarsi negli anni, nei decenni e nei secoli successivi, portando parecchi intellettuali a schierarsi più o meno apertamente in due contrapposte fazioni, tra chi condivide, sia pur mutatis mutandis, le sue tesi, e chi invece le contesta, benché possa non di rado in effetti trovare, nell’approfondita analisi della speculazione di Mill, punti di contatto con le proprie personali convinzioni.

Continua a leggere

Eros e civiltà, di Herbert Marcuse. Una recensione di Gabriele Ottaviani

Herbert Marcuse durante un'assemblea studentesca (1968)

Se ordini il libro tramite il nostro link usufruisci di uno sconto significativo (Amazon): Eros e civiltà (Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie)

— — —

Herbert Marcuse (Berlino, 19 luglio 1898 – Starnberg, Baviera, 29 luglio 1979), è il principale interprete e ispiratore – almeno per la quasi totalità dei critici – di quella corrente filosofica e di pensiero nella quale si sono poi riconosciuti i fautori dei fermenti del movimento studentesco. Questo movimento portò con veemenza alla ribalta mondiale, tramite partecipate manifestazioni, scritti e azioni varie, le proprie istanze, talvolta finanche tradite, a partire dal 1968, anno diventato poi la data simbolo di un nuovo modo di intendere e considerare la società, quella già esistente e quella da costruire e ricostituire, e di un nuovo modo di considerare ed edificare il ruolo dell’Uomo all’interno del contesto in cui conduce la propria esistenza. Marcuse è l’autore di numerosi scritti e saggi: uno dei più celebri è con tutta probabilità “Eros e civiltà” (“con questo titolo”, scrive il filosofo nella prefazione al suo scritto, edita nel 1967, “intendevo esprimere un’idea ottimistica, eufemistica, anzi concreta, la convinzione che i risultati raggiunti dalle società industriali avanzate potessero consentire all’uomo di capovolgere il senso di marcia dell’evoluzione storica, di spezzare il nesso fatale tra produttività e distruzione, libertà” – termine che Marcuse sovente esita a usare, “perché è proprio in nome della libertà che vengono perpetrati crimini contro l’umanità”, –  “e repressione”), un volume complesso e strutturato in più parti, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti d’America nel 1955, e divenuto un testo basilare di quella che fu chiamata, non senza una certa sufficienza da parte di alcuni, “controcultura giovanile”.

Continua a leggere

Michela Marzano, Estensione del domino della manipolazione, una recensione di Rezi Perelli

Dino Valls, "Noxa"

“Privilegio di una minoranza, il capitalismo è impensabile senza la complicità della società…è necessario che, in un modo o nell’altro, l’intera società ne accetti, più o meno consapevolmente, i valori”. Fernand Braudel, La dinamica del capitalismo

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Estensione del dominio della manipolazione. Dalla azienda alla vita privata (Oscar saggi)

— — —

Il saggio illustra con semplicità (si legge la prima volta in quattro, cinque ore) come la cultura d’impresa abbia negli ultimi anni influenzato e determinato anche quella accademica, con la pretesa di sostituirsi ad essa come agente di cambiamento sociale (“istituzione totale capace di restituire senso alla nostra società”); si parla di estensione del dominio della manipolazione, proprio perché si è portato il linguaggio strutturato del management nella sfera privata. La Marzano ci vuole aiutare ad aprire gli occhi su un pericolo da non sottovalutare, quello della mentalità manageriale che sta invadendo da tempo la vita quotidiana, tanto da poter dire che oggi si “vive per lavorare”, e non più “si lavora per vivere”. Sta passando il messaggio che nel lavoro ci sia tutto l’essere, che l’individuo sia il lavoro che fa, ampliando il “sei quello che hai” (E. Fromm), il lavoro, insomma, come specchio dell’anima dell’uomo: “Ma nel momento in cui si identifica completamente con gli interessi dell’azienda, l’individuo perde la capacità di percepire la manipolazione cui è sottoposto. La relazione fusionale funziona talmente bene che un rischio mal gestito o un errore commesso precipiteranno il lavoratore in un vuoto esistenziale. Ha fallito dinanzi a coloro che si fidavano di lui, non è stato all’altezza delle aspettative: le aspettative altrui, ma anche le sue… Che senso ha la sua esistenza?”.

Continua a leggere

Relativismo e giustizia. Una recensione critica de “L’idea di giustizia” di Amartya Sen

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo: L’Idea Di Giustizia (Oscar saggi)

— — —

Amartya Sen, filosofo e premio Nobel per l’economia (conseguito nel 1998 per i suoi studi sull’economia del benessere e per il suo impegno ad una economia etica) presenta in questo libro il suo particolare approccio alla giustizia, che potrebbe essere definito una “teoria della scelta sociale della giustizia”. Questo approccio sfida il modo stesso in cui la filosofia politica tende tradizionalmente ad affrontare il problema. Giustizia, per Sen, è una valutazione comparativa piuttosto che la costruzione di sogni idealistici. L’autore dichiara: “la domanda ‘cos’è una società giusta?’ non è un buon punto di partenza per una utile teoria della giustizia”. Il libro ha quindi un titolo piuttosto ironico, se l’approccio di Sen è ben lungi dall’esporre una “idea” di giustizia. L’obiettivo dichiarato della teoria di Sen è l’effettiva riparazione all’ in-giustizia, piuttosto che la costruzione di una teoria di ciò che la giustizia esige. Sen descrive il suo lavoro come “una teoria della giustizia in senso molto ampio“. Il libro, uno dei capisaldi dell’attuale discussione sui massimi sistemi socio-politici, è enorme, non comprende solo una teoria della scelta sociale della giustizia, ma anche la razionalità economica, il ragionamento del pubblico, i limiti dell’ oggettività etica, la democrazia, i diritti umani, le capacità dell’uomo, il benessere umano e la necessità di una giustizia globale. Questa forza è nello stesso tempo una debolezza, perché alcune sezioni non sono sufficientemente sviluppate. In particolare, la sua teoria della scelta sociale della giustizia – il suo contributo più importante – si limita ad un unico capitolo, e richiederebbe un’ ulteriore elaborazione (che, comunque, è avvenuta in altri libri del maestro indiano). Criticherò i capisaldi della sua teoria e ne mostrerò i principali punti deboli. Nonostante i limiti che mostrerò, questo libro è meravigliosamente lucido e leggibile, ed è molto accessibile ad un pubblico già abituato a simili questioni. Sen scrive amabilmente, con un tocco di storia e una prospettiva umanista veramente globale. Aneddoti di storia e di letteratura indiana forniscono illustrazioni di punti di vista accanto a quelli di Shakespeare, Dickens e altri campioni letterari. Sen crede che la missione di economisti e filosofi sia quella di migliorare il mondo, e il focus sul progetto reale di migliorare l’umanità è evidente in tutto il lavoro. Il suo approccio richiama l’attenzione sulla effettiva capacità di tutti gli esseri umani di condurre una vita appagante, e il suo umanitarismo laico è evidente in tutte le pagine.

Continua a leggere

Jurgen Habermas, Tra scienza e fede. Una recensione

La secolarizzazione dell’autorità statale e la libertà positiva e negativa dell’esercizio della religione sono due facce della stessa medaglia. Esse hanno protetto le comunità religiose non soltanto dalle conseguenze distruttive dei sanguinosi conflitti fra di loro, ma anche dallo spirito antireligioso di una società laicistica. È vero che lo Stato costituzionale può proteggere i suoi cittadini religiosi e non religiosi gli uni dagli altri soltanto quando questi non solo trovano un modus vivendi nella reciproca frequentazione, bensì vivono per convinzione in un ordinamento democratico. Lo Stato democratico si nutre di una solidarietà che non si può imporre con le leggi, fra cittadini che si considerano reciprocamente membri liberi ed eguali della loro comunità politica” (Jurgen Habermas, Tra scienza e fede)

Se ordini il libro tramite il nostro link hai diritto ad uno sconto significativo (Amazon): Tra scienza e fede (Economica Laterza)
— — —

La traduzione del titolo in italiano di questo libro è già di per sé un’eloquente estremizzazione di un conflitto, ed una riduzione del conflitto a temi che evocano un problema ideologico più settoriale. Il titolo originale tedesco è infatti “Zwischen Naturalismus und Religion” , cioè “tra naturalismo e religione”, e si sa, un titolo simile evoca battaglie del tutto diverse (e vende molti meno libri). Guidato dalla sua ben nota tesi della “razionalità comunicativa”, il più noto filosofo tedesco contemporaneo, Jurger Habermas, in questo libro percorre un tracciato che si dipana tra lo scientismo e l’intransigenza religiosa, due correnti opposte che ritiene possano minacciare la coesione civica. Ma, come avverte nell’introduzione, i capitoli del libro sono stati scritti in occasioni diverse e non costituiscono un insieme sistematico. Habermas negli ultimi anni si è in effetti occupato di numerose tematiche contemporanee, dal multiculturalismo fino al confine tra la fede e la scienza, compresi temi legati al diritto internazionale. Il volume sarà di sicura utilità per tutti coloro che s’interessano di filosofia sociale, morale e politica così come di filosofia della religione e di filosofia della scienza, e sarà più adatto a coloro che hanno già familiarità con l’autore e hanno il desiderio di conoscere gli ultimi sviluppi del suo pensiero.

Continua a leggere