Amartya Sen, Identità e violenza, una recensione a cura di Valeria Villa

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“Kader Mia, un bracciante musulmano, fu accoltellato mentre si recava in una casa vicina, per lavorare in cambio di una paga esigua. Fu accoltellato sulla strada da persone che neanche lo conoscevano e che molto probabilmente non lo avevano mai visto prima. Per un bambino di undici anni, quell’evento oltre a rappresentare un autentico incubo, era profondamente sconcertante. Perché una persona da un momento all’altro veniva ammazzata? E perché veniva ammazzata da persone che neanche la conoscevano, persone a cui la vittima non avrebbe potuto fare alcun male? Il fatto che Kader Mia potesse essere ridotto ad una identità soltanto – quella di membro della comunità “nemica” – che “doveva” essere attaccato e se possibile ucciso – appariva totalmente incredibile. Agli occhi sbalorditi di un bambino, la violenza dell’identità era qualcosa di straordinariamente difficile da comprendere. Non è particolarmente facile nemmeno per un adulto anziano, che ancora si sbalordisce. Mentre mio padre lo portava in ospedale con la nostra macchina, Kader Mia gli disse che sua moglie gli aveva chiesto di non andare in un quartiere ostile in quel periodo di scontri intercomunitari. Ma lui doveva andare a cercare  lavoro per guadagnare qualcosa, perché la sua famiglia non aveva niente da mangiare. Il prezzo di questa necessità, causata dalla miseria, sarebbe stato la morte. Il terribile legame tra la povertà economica a la totale mancanza di libertà (perfino la libertà di vivere) fu una presa di coscienza, assolutamente scioccante, che colpì la mia giovane mente con forza sconvolgente”.  [ed. it. p. 176, p. 173 ed. ingl.]

Quasi in procinto di chiudere il suo libro, Identity and Violence. The Illusion of Destiny, Amartya Sen condivide con i suoi lettori l’esperienza drammatica del suo primo incontro con la morte. Per il lettore di Sen non è nuovo imbattersi in vicende biografiche. Ciò che, tuttavia, ogni volta sorprende è la constatazione dell’influenza che queste esperienze hanno esercitato sul suo pensiero. Leggendo la sua filosofia, il lettore ha la costante sensazione di essere a contatto diretto con la vita: non c’è pensiero lontano dalla realtà, ma una realtà che si fa pensiero; ovvero, Sen trasforma in ragionamento, in analisi, in stimolo per portare la mente verso curiose profondità, gli eventi della concretezza quotidiana. È rilevante sottolineare questo aspetto del suo scrivere e del suo pensare, poiché dice molto della forza teorica e dei fini a cui la sua teoresi aspira. E qui, in Identity and Violence – come aveva già fatto precedentemente in Equality Reexamined e Development as Freedom – il pensiero di Sen è animato dall’esperienza scioccante e diretta con la morte per conflitti di identità, della povertà e dell’ineguaglianza; queste muovono il suo pensiero verso l’analisi precisa delle cause ed effetti della miniaturizzazione delle persone in identità chiuse e non comunicanti. Prima di entrare nel vivo della discussione delle tematiche che Sen propone penso sia interessante condividere con voi come è nato il mio interesse per questo testo; ciò dice molto del mio approccio a Sen che qui propongo e dei sentimenti che hanno guidato la mia lettura. Stavo passeggiando per le vie centrali di Cambridge. Era una domenica mattina di metà Giugno. Il centro città era affollato di turisti che scattavano foto agli edifici storici e di studenti che passeggiavano tranquilli godendosi finalmente le bellezze di Cambridge, i colleges e il fiume, dopo un anno accademico di studio. Io passeggiavo come loro insieme ad alcuni amici che si preparavano per tornare in Italia avendo concluso il proprio progetto di studio. Di fronte alla Senate House cammina Amartya Sen. Indico ai miei amici la sua figura e li rendo partecipi dell’importanza che egli trascina insieme ai suoi passi da intellettuale, maturato dagli incontri e dalla vita di studio: “È il premio nobel Amartya Sen!”.
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Jurgen Habermas, L’inclusione dell’altro. Una recensione

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Questo libro è il frutto di riflessioni concernenti i campi della morale, del diritto e della politica in relazione alla società contemporanea. Il tema affrontato è quello dell’ “altro” visto come immigrato, come appartenente a minoranze etniche oppure come membro di gruppi e ceti sfavoriti. Per far emergere il pensiero dell’ autore ho pensato di mettere in evidenza il paragone delle sue elaborazioni con quelle di altri due studiosi: Schmitt e  Rawls.
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Jurgen Habermas, Tra scienza e fede. Una recensione

La secolarizzazione dell’autorità statale e la libertà positiva e negativa dell’esercizio della religione sono due facce della stessa medaglia. Esse hanno protetto le comunità religiose non soltanto dalle conseguenze distruttive dei sanguinosi conflitti fra di loro, ma anche dallo spirito antireligioso di una società laicistica. È vero che lo Stato costituzionale può proteggere i suoi cittadini religiosi e non religiosi gli uni dagli altri soltanto quando questi non solo trovano un modus vivendi nella reciproca frequentazione, bensì vivono per convinzione in un ordinamento democratico. Lo Stato democratico si nutre di una solidarietà che non si può imporre con le leggi, fra cittadini che si considerano reciprocamente membri liberi ed eguali della loro comunità politica” (Jurgen Habermas, Tra scienza e fede)

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La traduzione del titolo in italiano di questo libro è già di per sé un’eloquente estremizzazione di un conflitto, ed una riduzione del conflitto a temi che evocano un problema ideologico più settoriale. Il titolo originale tedesco è infatti “Zwischen Naturalismus und Religion” , cioè “tra naturalismo e religione”, e si sa, un titolo simile evoca battaglie del tutto diverse (e vende molti meno libri). Guidato dalla sua ben nota tesi della “razionalità comunicativa”, il più noto filosofo tedesco contemporaneo, Jurger Habermas, in questo libro percorre un tracciato che si dipana tra lo scientismo e l’intransigenza religiosa, due correnti opposte che ritiene possano minacciare la coesione civica. Ma, come avverte nell’introduzione, i capitoli del libro sono stati scritti in occasioni diverse e non costituiscono un insieme sistematico. Habermas negli ultimi anni si è in effetti occupato di numerose tematiche contemporanee, dal multiculturalismo fino al confine tra la fede e la scienza, compresi temi legati al diritto internazionale. Il volume sarà di sicura utilità per tutti coloro che s’interessano di filosofia sociale, morale e politica così come di filosofia della religione e di filosofia della scienza, e sarà più adatto a coloro che hanno già familiarità con l’autore e hanno il desiderio di conoscere gli ultimi sviluppi del suo pensiero.

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