Archivi per la categoria ‘Arte/filosofia’

Andrè Bazin, “Che cosa è il cinema?”, a cura di Elisa Scirocchi.

Rosabella era la sua slitta!”(*)

I francesi hanno inventato la fotografia, hanno ideato il cinema, lo hanno studiato e analizzato a fondo. Per questo siamo loro grati. Se pensiamo alla storia del cinema immediatamente un baschetto rosa confetto si posa sui nostri capelli castano cioccolato e la tour Eiffel ci sorride da lontano.

Irragionevolemte ancora oggi il cinema viene troppo spesso dimenticato, quasi mai dai più considerato come fondamento della nostra cultura, o come essenziale rappresentazione dell’umano. Sempre più banale e sciocco entertaiment, sempre meno opera d’arte.  E quindi, a meno che non abbiate la fortuna di abitare in una grande metropoli, ci tocca aspettare i “Lunedì d’essai” al cinema sotto casa, sperare che scelgano di proiettre il film che desideriamo ardentemente di vedere, e gustarci lo spettacolo in una sala semivuota.

Ma quando il cinema entra nel novero delle arti? E perché dovremmo considerarlo come tale? Per rispondere a queste domande, e per approfondire la storia di questa giovane espressione artistica, possiamo leggere il testo “Che cosa è il cinema?” di Andrè Bazin. Di nuovo sono i francesi a venirci in aiuto. Dunque, immaginiamo di gustare un delizoso macaron nel Cafè de Flore e, seduti ad un tavolo, leggiamo con attenzione il nostro libro.
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Umberto Eco, Storia della bellezza. Una recensione di Erica Trabucchi

Cristo misura il mondo con un compasso, da una Bibbia Moralizzata, 1250 circa

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Esattamente come per la bruttezza, anche la definizione di bellezza non è univoca: bello è qualcosa che attrae, che colpisce, che spinge a soffermare lo sguardo senza reprime un senso di meraviglia, addirittura di estasi. Spesso si definisce il bello come qualcosa che è buono; e in questo caso si attribuisce alla bellezza una caratteristica utilitaristica, che non è propria del termine. Altre volte una cosa bella è una cosa desiderabile, apprezzata ma non posseduta, e che proprio per questa mancanza di possesso risulta ancora più ricercata, ma che forse, per altri non è meritevole di attenzione. Altre volte è la passione per una data cosa a condizionare il nostro giudizio. Si potrebbe dire che la bellezza, esattamente come la bruttezza, sono dunque soggettivi. Questo libro presenta una preziosa carrellata testuale e visiva delle più importanti concezioni estetiche sulla “bellezza” che hanno caratterizzato la cultura occidentale.

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Umberto Eco, Storia della bruttezza. Una recensione

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Romanzo di Esopo I (I-II secolo d.C). "Esopo, il grande benefattore dell’umanità (...) repellente, schifoso, pancione, con la testa sporgente, camuso, gibboso, storto, labbrone..."

Che cosa è il brutto? Che cosa è brutto? Solitamente si definisce il brutto in opposizione al bello; ma essendo il bello piuttosto soggettivo, anche la nozione di brutto non può essere univoca. Il bello e il brutto sono relativi a tempi diversi, a culture diverse, anche se nei secoli si è cercato più volte di definire dei modelli per definire cosa fosse bello e cosa non lo fosse (ne è uno dei massimi esempi il Canone di Policleto, una statua nella quale aveva racchiuso tutte le regole per le proporzioni ideali).Nella Storia della bruttezza a cura di Umberto Eco, viene presentata, partendo dal mondo classico sino ad arrivare al giorno d’oggi, la nozione di bruttezza, accompagnata da una lunga serie di opere d’arte che possono far comprendere tali concetti. Il testo comincia cercando di sfatare uno dei miti più diffusi legato al mondo classico: non era sicuramente un mondo dominato dal bello come molti credono. “L’ideale greco della perfezione era rappresentato dalla kalokagathia, termine che nasce dall’unione di kalos (genericamente tradotto come “bello”) e agathos (tradotto come “buono”).” Potremmo tradurre il concetto con il termine anglosassone gentlemen, persona di aspetto dignitoso, composta, ma che nello stesso tempo presenta un temperamento, un carattere fiero, coraggioso, dagli alti valori morali. Proprio alla luce di questo ideale, il mondo greco ha elaborato una vasta letteratura sul rapporto tra bruttezza fisica e bruttezza morale. La bruttezza e la malvagità erano aspetti molto indagati dai greci: osservate gli innumerevoli cortei di Bacco, con i sileni ebbri e ripugnanti, che a volte fanno sorridere tanto comicamente vengono rappresentati. La malvagità però non è sempre legata all’aspetto: l’orribile sileno per eccellenza è Socrate, maestro di saggezza. E non è sempre legata all’individuo maschile: ci sono figure come le sirene che la mitologia ha spesso rappresentato come uccellacci rapaci dalla coda di pesce. La loro malvagità sta nella voce, come ricorda l’Odissea: “Chiunque i lidi incautamente afferra- delle Sirene, e n’ode il canto, a lui- né la sposa fedel, né i cari figli- verranno incontro su le soglie in festa-“. Un fascino pericoloso e distruttivo.

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Gerarchia dei saperi, gerarchia delle arti e filosofia pop

Caravaggio, Morte della Vergine (1604). Con la sua estetica che ribaltava totalmente i canoni e le gerarchie dell'arte a lui contemporanea, Michelangelo Merisi può esser definito un artista-pop

“Onestamente non ricordiamo né quando né dove, ma ci sembra che qualcuno (forse fu soltanto una conversazione in autobus, dopotutto) abbia messo una volta in rilievo certe curiose corrispondenze tra la fantascienza e il jazz. L’intuizione, chiunque ne sia stato il padre, si va dimostrando col tempo sempre più sostenibile e meriterebbe oggi l’occhio dei più aggiornati antropologi culturali. Coincidono anzitutto i dati anagrafici. Luogo di nascita per entrambi: gli Stati Uniti d’America. Data: gli Anni Venti, coi blues raucamente cantati in sordidi locali e i pulp magazines stampati su infima cartaccia. Nei due casi, una partenza dal basso, con orizzonti espressivi assai limitati, per non dire rozzi; e tuttavia un’attraente carica di viscerale immediatezza.  Ma dietro l’apparente spontaneità e “ingenuità” del primo jazz ben sappiamo esserci tutta un’ascendenza nobile, filtrata dalle dorate sale di musica e da ballo d’Europa fino alle magioni aristocratiche delle colonie creole e di qui passata alle piantagioni di cotone e mescolatasi a primitivi ritmi e canti di lavoro. Allo stesso modo, la fantascienza degli esordi si presenta sotto forme a dir poco rudimentali ma non nasce certo dal nulla. Le sue stridule cornette e sue pianole plebee riciclano alla lontana e alla lontanissima, e spesso all’insaputa degli esecutori, i più illustri motivi della letteratura fantastica occidentale. Anche la “carriera sociale”, per così dire, di jazz e fs. segue percorsi paralleli. Genuina, candida passione di una minoranza. Scoperta da parte di sofisticati cercatori di novità. Curiosità crescente. Successo e lusinghieri inviti in casa Guermantes. Esagerazioni paradossali (“meglio Armstrong di Mozart!” “Preferisco Bradbury a Tolstoj”). E infine, passato il culmine della moda, un’accettazione condiscendente, una dignitosa sistemazione al terzo piano, scala C.   Perché lo status della coppia resta in definitiva equivoco. Non basta un concerto jazz al Metropolitan o una cattedra di fs. in un’università di provincia per farne due ospiti veramente di riguardo. Gli inquilini abusivi che recitano la parte dei padroni di casa si piccano di sapere che cosa sia l’arte e decideranno sempre che l’arte  però insomma via è un’altra cosa […]” (Carlo Fruttero e Franco Lucentini, nell’introduzione a “Il quarto libro della fantascienza”, Einaudi)

I soliti scontri fra “alto” e “basso”. Il Jazz: nato nei bassifondi della cultura alta e ufficiale, decenni dopo diventa Arte. Mi son sempre chiesto, ad esempio, perché la fantascienza sia considerata una letteratura di serie B. Nei libri di testo delle scuole italiane la  fantascienza non compare neanche come letteratura. Forse perché è  troppo scomoda, forse perché le sue origini sono umili, basse, come  uno scantinato nel quale si accatastano i libri vecchi… come ogni  lievito che si rispetti, il fungo cresce e diventa una muffa che attacca tutto ciò che è ”grande”. Ogni epoca ridefinisce ciò che è degno di essere studiato e ciò che è meno degno, ciò che è arte e ciò che non lo è, ciò che è sublime e ciò che non lo è. Ciò che merita una cattedra universitaria, ciò che non lo merita. Il tutto si determina in base ad un complesso gioco economico sociale molto arduo da analizzare, il cui studio negli ultimi anni ha avuto uno dei massimi fautori in Pierre Bourdieu.  In questo scontro  sono anche in gioco valori e classi sociali. La filosofia pop, ad esempio, ultimamente sta cercando di ricavarsi uno spazio in un mondo culturale ed accademico spesso poco propenso a “dequalificare” le proprie discipline ed a ristrutturare la propria gerarchia dei saperi.

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Il cervello della cappella Sistina. Michelangelo fra neoplatonismo e… neuroanatomia

Fece per la chiesa di Santo Spirito della città di Firenze un Crocifisso di legno, che si pose ed è sopra il mezzo tondo dello altare maggiore a compiacenza del priore, il quale gli diede comodità di stanze; dove molte volte scorticando corpi morti, per istudiare le cose di notomia, cominciò a dare perfezione al gran disegno ch’egli ebbe poi“. (Giorgio Vasari, Vita di Michelangelo)

Forse il primo uomo (documentabile) ad avanzare l’ipotesi dell’anatomia del cervello celata nel dipinto di Michelangelo è stato qualche anno fa un medico americano,  Frank Meshberger, notando che le figure dietro Dio e il mantello formano una figura pienamente corrispondente alla sezione sagittale della corteccia cerebrale. E Michelangelo, nel Rinascimento, non era l’unico a studiare l’anatomia dai cadaveri ed a riportarla fedelmente nelle sue opere. Inoltre, al tempo di Michelangelo, gli anatomisti credevano che il prezioso ben dell’intelletto, dono di Dio, avesse la sua sede nel cervello. In base a questa ipotesi, nell’affresco tradizionalmente chiamato “Creazione di Adamo” (qui il link per vedere la Cappella Sistina in 3d), potrebbe essere simboleggiato un messaggio molto particolare.

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Le rovine di Milano, di Giovanni Agosti. Una recensione a cura di Erica Trabucchi

Area di San'Ambrogio durante i bombardamenti di Milano del 1943

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Recensire l’ultimo piccolo lavoro di Giovanni Agosti non è semplice; primo perché racconta di fatti e personaggi di un passato recente di cui chi non ho fatto parte, di quegli anni Ottanta che mi sono stati raccontati perché ero troppo piccola per ricordarli. Il testo è tutto incentrato su Milano, una città che a detta dell’autore, vive da parecchi anni una crisi culturale dalla quale non è in grado di uscire. “Questo breve feuilleton critico è stato scritto, di settimana in settimana e a rotta di collo, tra giugno e luglio 2011” ed è comparso in più parti su “Alias”, il supplemento culturale del “Manifesto”, prima di trasformarsi in libello ed essere pubblicato da Feltrinelli nell’Ottobre dello scorso anno.

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Vittorio Sgarbi, Piene di Grazia. I volti della donna nell’arte, recensione di Erica Trabucchi

 

Giaele e Sisara, di Artemisia Gentileschi

Giaele e Sisara. Artemisia Gentileschi, che subì una violenza sessuale, realizza in quest'opera del 1620 un tema che l'accompagnerà per tutta la vita, e cioè quello di una donna energica e libera dal dominio maschile

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Vittorio Sgarbi non ha mai nascosto la sua passione per le donne. Spesso negli show televisivi si è divertito con provocazioni ed eccessive confidenze sulla sua vita, anche sessuale. Eppure, quando Sgarbi si ricorda delle sue origini, della sua vasta cultura artistica, vedono la luce opere letterarie di grande spessore. La sua ultima fatica, “Piene di grazia. I volti della donna nell’arte”, si concentra proprio sulla figura della donna nelle opere d’arte, secondo un andamento cronologico, a partire dal Medioevo sino alle opere di artisti a noi contemporanei. “Il mondo femminile nell’arte consente riflessioni, discussioni, e questo libro lo documenta, con una serie di esempi che indicano l’arte, il mistero e la seduzione che dalla donna escono”, potrebbe essere il sunto del testo, l’obiettivo che spinge l’autore nella ricerca. Perché se la storia dell’arte è una fonte immensa di opere a cui fare riferimento, una scelta ben ponderata e metodologicamente precisa come quella di Sgarbi non può essere sminuita.

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