Pierre Hadot, Ricordati di vivere. Una recensione

Epitaffio di Sicilo (II secolo aC), il più antico documento musicale greco. Così recita: «Finché vivi, splendi, non affliggerti per nulla: la vita è breve e il Tempo esige il suo tributo»

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a cura di Alessandro Stella

Non è possibile aprire un libro di Pierre Hadot senza provare una profonda ammirazione per questo autore, la cui più autentica erudizione è legata indissolubilmente  alla estrema semplicità di parola. Semplicità di parola, certo, ma anche e soprattutto parole semplici. La sua parola ha il senso della bellezza proprio perché evita inutili “filosofemi”, proprio perché è una parola che ha il peso, e la leggerezza, di una vita intera dedicata alla filosofia. La filosofia di Hadot, però, non è quella che l’accademia moderna può suggerire, e cioè un’attività il cui scopo è la costruzione di un sistema concettuale. Anche se la teoria è sempre stata al centro della filosofia, essa fungeva da giustificazione di un modello di vita, di una disciplina: era inseparabile da uno stile di vita. Poco prima di morire, Hadot ha ribadito un concetto espresso in tutta  la sua produzione letteraria e in tutta la sua vita:  <<Nei tempi antichi, ad esempio in Epitteto, Plutarco, o in Platone, vi è una critica feroce di chi vuole solo “professori” che vogliono brillare con le loro argomentazioni e il loro stile e che sono quindi distinti da coloro che vivono la loro filosofia. Questo stesso contrasto si perpetua nella filosofia moderna. Kant oppone alla filosofia “scolastica” la “filosofia del mondo” che interessa ognuno di noi. Schopenhauer deride la filosofia accademica, che descrive come “scherma di fronte a uno specchio”. Thoreau dichiara: “Ai nostri giorni, ci sono professori di filosofia, ma non filosofi”, e Nietzsche scrive: “abbiamo appreso il minimo delle cose che gli antichi insegnavano alla loro gioventù? Abbiamo imparato il minimo tratto di ascetismo pratico di tutti i filosofi greci?” Bergson e gli esistenzialisti difendono lo stesso concetto, quello di una filosofia che non è una impalcatura di concetti, ma un impegno “di” e nell’esistenza” (1). In questo suo ultimo libro, il cui sottotitolo è Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali, l’autore ricorda quel che ha continuato a sviluppare nel corso dei suoi lavori. Le antiche scuole filosofiche hanno sviluppato dei “corpus” di esercizi spirituali, intendendo con ciò “atti dell’intelletto, o immaginazione, o della volontà, caratterizzati dalla loro finalità: tramite loro, l’individuo cerca di cambiare il suo modo di vedere il mondo, al fine di trasformarsi. Non si tratta d’informarsi, ma di formarsi”. In questo lavoro, tramite Goethe, Hadot ci ricorda la filosofia come memento vivere, rielaborando e sfruttando tutta la tradizione greca e lo stesso memento mori.

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