“Roma combattente” e “Bastardi senza Storia”, Valerio Gentili. Una recensione.

Scrivere solo oggi un commento a “Roma combattente” e “Bastardi senza Storia” di Valerio Gentili (edizioni Castelvecchi) potrebbe sembrare superfluo perchè, almeno il primo libro, è in commercio dal lontano aprile del 2010 ed a distanza di due anni e mezzo non è scontato che un testo continui a mantenere una certa potenza creativa conservando uguale capacità di analisi. Anche solo per il fatto che le situazioni possano cambiare enormemente. In realtà è proprio in questo momento che l’operazione storiografica promossa dall’autore ci sembra assumere maggiore evidenza. Il deflusso della stagione “no global” (o “new global”, “alter global” e via dicendo come dir si voglia) e la ripresa di un ciclo di conflittualità dalla fine del 2010 fino ad oggi racconta una storia dell’antagonismo estremamente frastagliata e composita. Non solo a livello nazionale ma in tutto il mondo. Naturalmente tra ieri (il periodo preso in considerazione dal libro, dal biennio rosso agli Arditi del Popolo) ed oggi il focus cambia radicalmente. Ieri un elemento di composizione dell’antagonismo poteva essere la difesa operaia contro la violenta esplosione fascista mentre oggi ci potrebbe essere altro (il “rigore”, l’autoritarismo di Emergenza dei governi tecnici…). Il punto è costruire un punto di vista sulla realtà capace di favorire la creazione di una prospettiva di lavoro comune. Se manca un punto di vista non è possibile definire neanche la realtà. Per questo la lettura di “Roma combattente” dovrebbe essere intrecciata a quella di “Bastardi senza Storia” che prova a considerare le stesse dinamiche di difesa antifascista a livello europeo (soprattutto in Germania) con alcune riflessioni sull’aspetto iconografico della conflittualità davvero interessanti. Il dispositivo storiografico che l’autore mette in campo in entrambi i suoi lavori si fonda su un elemento imprescindibile. Gli anni Venti hanno sancito la sconfitta del movimento operaio ed hanno incubato il fascismo (ed il nazismo) nelle forme che a noi saranno tristemente più note. Da questo, a cascata, inizia la narrazione.

Italia. Tutto sembra avere inizio con la Prima Guerra Mondiale. La scelta dell’interventismo provò duramente gli assetti organizzativi degli ambienti del sovversivismo (sindacalista, socialista, anarchico e repubblicano). E’ bene ricordare che Valerio Gentili ha considerato in modo particolare lo spazio politico romano, ma le sue analisi potrebbero anche essere estese ad altri ambienti metropolitani. La speranza ed il desiderio di trasformare la guerra in Rivoluzione ha segnato l’allontanamento di queste “avanguardie” dell’interventismo progressista e democratico dalle organizzazioni di appartenenza, che invece mantenevano un pacifismo internazionalista intransigente (nella difesa dell’unità di classe dei lavoratori contro la guerra delle borghesie, non certo per pigrizia sportiva). Questo eterogeneo campo dell’interventismo raccoglieva al proprio interno le pulsioni di morte del nazionalismo di destra (neo colonialismo e controllo “imperiale” dell’Adriatico) e le tendenze democratiche derivate dalla tradizione risorgimentale, nazionale ed internazionale (un po’ garibaldini ed un po’ mazziniani) che rivendicavano le terre irredente a favore dell’unità della Nazione contro il militarismo degli Imperi centrali. In questo magma si costituirono, nel 1914, i primi Fasci rivoluzionari. Nell’ambito delle organizzazioni del movimento operaio si trattò di una scissione (quanto dolorosa lo si vedrà solo qualche anno più tardi) perchè larga parte dei lavoratori decise di mantenere posizioni di neutralità e pacifismo nei confronti della Guerra. Sarà una colpevole separazione perchè senza questa componente “militare” ed organizzata (non solo nell’azione pratica ma anche nei contenuti politici, pensiamo a personalità di grande spessore come Alceste De Ambris o Argo Secondari) il sindacalismo ed il Partito Socialista non riusciranno ad opporre nessuna resistenza all’avanzata estremamente violenta delle squadracce nere (citando Hitler, da Bastardi senza Storia. “Una cosa sola avrebbe potuto arrestare il nostro movimento: se i nostri nemici, comprendendo i nostri principi, fin dai primi giorni, ci avessero colpito con altrettanta brutalità“) e successivamente all’alleanza del Fascismo con le Istituzioni liberali. Sarebbe da approfondire ulteriormente questa “separazione originaria” generata dall’interventismo perchè, nell’inconscio del movimento di classe in Italia, è un rimosso che ritorna sempre ed incide nella composizione politica spesso aprendo contraddizioni (o vere e proprie degenerazioni).

Siamo nel 1919. Per favorire l’arruolamento e mantenere l’attaccamento alla divisa (evitando diserzioni), la propaganda di guerra aveva promesso ai soldati, tra le tante altre cose, anche la Riforma agraria ed una differente divisione della terra tra i braccianti. La Riforma agraria sarebbe stato un provvedimento rivoluzionario soprattutto per le campagne del Mezzogiorno perchè avrebbe riaperto i rapporti di forza nel settore agrario tra latifondisti e lavoratori della terra. In realtà erano più o meno le stesse promesse cantate dall’esercito piemontese circa Sessant’anni prima per convincere i “terroni” a cacciare il Re borbone. Promesse che, anche in quel caso, rimasero disattese contribuendo a generare quella resistenza popolare diffusa passata alla storia con il termine “brigantaggio“. La crisi economica del dopoguerra, causata anche da una riconversione industriale degli impianti bellici lenta e male organizzata, cominciava ad aprire voragini nel basso ventre del corpo sociale italiano che ci mise poco a ribellarsi. Già nell’estate del 1919 molti ex combattenti guidavano le occupazioni della Terra nel Mezzogiorno ed i cruenti scioperi contro il carovita nelle Metropoli. L’area dell’interventismo democratico e progressista si mise completamente a disposizione nell’organizzazione delle iniziative e nella redazione dei manifesti utili per l’estensione della rivolta. Obiettivi comuni del combattentismo (sia di destra che di sinistra) erano “la borghesia panciafichista, i socialisti pacifondai, il clero austricante ed il parlamento neutralista“. Lo scarto tra interventisti (anche progressisti e democratici) e “neutralisti” comincia a diventare una vera e propria separazione che non avrà modo di ricomporsi. Coerentemente con la vis spirituale del combattentismo, anche il primo programma del Fascismo, il Programma di San Sepolcro, si riproponeva di dare la terra ai contadini e le fabbriche agli operai e per questa ragione riuscì in un primo momento a raccogliere molti ex combattenti ed ufficiali smobilitati. Solo nel 1936, con l’Appello ai fratelli in Camicia nera, anche il Partito Comunista si accorgerà della valenza rivoluzionaria del sansepolcrismo cercando di arruolare alla propria causa i fascisti delusi dalla politica dei “tre tempi” imposta dal Regime (ci sarebbe anche da dire che Antonio Gramsci, già negli anni Venti, si interessò agli Arditi e provò ad avere contatti con Gabriele D’Annunzio durante l’impresa di Fiume). Anche per il movimento fascista, e per il suo capo politico Benito Mussolini, il biennio rosso è stato un momento di trasformazione qualitativa. Ha sancito il definitivo allontanamento dall’area democratica e progressista dell’interventismo e la saldatura del nazionalismo neocolonialista con gli interessi padronali (nelle metropoli degli imprenditori mentre in campagna con i latifondisti). Questa alleanza, che di fatto ha superato anche il Programma di San Sepolcro, si è concretizzata in una vera e propria persecuzione sistematica dei lavoratori in funzione antisocialista. E’ stata una trasformazione “militare” a tutti gli effetti, con lo scopo di spazzare via “fisicamente” (non solo politicamente) la resistenza dei lavoratori, che non ha trovato un corrispettivo di senso opposto nell’altro campo (ad eccezione della magistrale difesa di Parma nel 1922). Il “biennio rosso”, nonostante il carattere popolare e di classe della mobilitazione, non ha dato nessuno slancio alle organizzazioni progressiste e democratiche ma al contrario ha definito il salto di qualità del Fascismo che da “movimento” (e, più esplicitamente, antipartito) comincia ad assumere sempre più i connotati delle organizzazioni politiche tradizionali. Dall’altre parte l’allontanamento del combattentismo democratico dalle organizzazioni “pacifiste” dei lavoratori non viene colmato (anzi, spesso viene esacerbato) e questa scelta è anche alla base dell’incapacità del movimento nel suo insieme di trasformare il valore aggiunto delle occupazioni (delle fabbriche e delle campagne) in pratica politica complessiva ed organizzazione degli interessi comuni. Scriveva Gramsci a proposito di alcune disposizione del Partito Socialista: “La mozione per cui si stabiliva che gli interventisti non potevano essere ammessi nel partito fu solo un mezzo di ricatto e di intimidazione individuale e un’affermazione demagogica […] Era evidente che la guerra, con l’enorme sconvolgimento economico e psicologico che aveva determinato specialmente tra i piccoli intellettuali e i piccoli borghesi, avrebbe radicalizzato questi strati. Il partito se li rese nemici gratis, invece di renderseli alleati, cioè li ributtò verso la classe dominante“. E’ stata colpevolmente vanificata, ad esempio, la grande esperienza dei Consigli di Fabbrica che, se difesa meglio, avrebbe potuto aprire un processo costituente. Un’altra esperienza persa è stata l’Impresa di Fiume condotta da Gabriele D’Annunzio nel 1919 ed inaugurata sotto gli auspici del nazionalismo reazionario ma ben presto diventata quasi l’opposto, da quando Alceste De Ambris viene nominato capo di gabinetto. Fiume ebbe la capacità di ricompattare una larga parte del movimento fino a rendere praticabile anche l’ipotesi di una “marcia su Roma” (da sinistra) che allertava non poco le Istituzioni liberali. Anche in questo caso il Partito Socialista si oppose bruscamente ad uno sbocco rivoluzionario contribuendo ad aprire la reazione delle squadracce e l’alleanza tra nazionalisti, industriali e agrari. Per capire cosa si sia perso a Fiume basterebbe leggere la “Carta del Carnaro” che avrebbe dovuto dare veste giuridica allo “Stato di tipo nuovo” che si andava costituendo. Il movimento operaio italiano esordisce gli anni Venti con una sconfitta ed il j’accuse principale è rivolto contro il Partito Socialista che, nonostante avesse una quantità enorme di iscritti (tale da farne la prima organizzazione dei lavoratori in Italia) non riuscì a guidare il biennio perchè dilaniato dalla conflittualità interna tra massimalismo rivoluzionario ed istituzionalismo parolaio. La scissione della parte “comunista”, nel gennaio del 1921, rappresenta l’ultimo frutto prodotto dalla sconfitta. La diaspora di quello che diventerà il campo dell’antifascismo, determinatasi dopo la scelta interventista di alcuni suoi settori, era molto più profonda di quanto non apparisse e si rifletteva ogni giorno nella gestione delle attività e nelle prospettive sul movimento.

In “Bastardi senza Storia“, invece, oltre ad offrire una ricostruzione indispensabile della genesi dell’autoritarismo in Europa (molto interessante la descrizione delle dinamiche di classe in Germania ed il rapporto tra le organizzazioni fasciste ed antifasciste), l’autore interviene sulla “Guerra di simboli e la fenomenologia della violenza politica“. La figura più citata è quella di Sergej Stepanovič Chakotin che ha profondamente condizionato (e continua a condizionare ancora oggi) la simbologia delle milizie antifasciste nella Germania degli anni Venti. Una delle icone più conosciute ed utilizzate è quella delle tre frecce che scendono dall’alto verso il basso con lo scopo di coprire e cancellare la svastica nazista. La stessa figura del pugno chiuso, utilizzato come saluto tra i militanti delle organizzazioni socialiste, nasce in questi anni in risposta alle forme adottate dalle milizie naziste (il braccio e la mano destra distesi). Sulla simbologia è già in corso da qualche tempo un dibattito che, prima o poi, dovrà uscire dai confini ristretti in cui si sta sviluppando per estendersi anche al “grande pubblico” toccando le organizzazioni “di massa” e probabilmente modificandone le modalità di ricerca del consenso. L’idea proposta è quella di riappropriarsi e provare a caricare di una nuova semantica alcune simbologie del movimento operaio che il fascismo ha storicamente adottato modificandone le strutture di senso. Molti apparati iconografici (ma anche personaggi e concetti) generati dalla sinistra rivoluzionaria, infatti, sono stati prima neutralizzati e successivamente assimilati dalle culture della destra estrema. La ricomposizione di un campo politico comune, superando la frammentazione, non può prescindere da un discorso di senso.

Un pensiero su ““Roma combattente” e “Bastardi senza Storia”, Valerio Gentili. Una recensione.

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