Sartre, La nausea. Una recensione di Elisa Scirocchi

Ernst Ludwig Kirchner, Marcella, 1910

Antoine Roquentin e le sue braccia penzoloni.

“[…] Il tempo riprende la sua mollezza quotidiana […].

Bouville, cittadina vezzosa e immaginaria della Francia, anni Trenta del Novecento. Antoine Roquentin è uno storico impegnato nella scrittura della biografia di un tale, vissuto nel Settecento, che risponde al nome di messier De Rollebon. È lui a raccontarci le sue giornate, le sue (dis-) avventure. La nausea (1938) incarna i moderni standard degli scrittori novecenteschi, ove la rottura del tradizionale schema temporale, l’evidente assenza di effettive situazioni narrative e l’incedere dirompente dell’emotività dei personaggi, sono protagonisti indiscussi. Sartre abolisce l’oramai desueto narratore esterno e dona la voce al suo fragile Antoine, donandogli l’esistenza. Antoine trascorre le sue giornate alla ricerca di qualcosa da scrivere, di qualcosa da fare, di qualcuno con cui parlare. La sua solitudine è dilaniante. “[…] Le persone che vivono in società hanno imparato a vedersi, negli specchi, esattamente come appaiono ai loro amici. Io non ho amici […]”.

Il suo rapporto con il mondo appare univoco, e unicamente basato su ciò che egli vede. Lo sguardo di Antoine è attento a cogliere in maniera minuziosa, a tratti maniacale, ogni dettaglio. E così, il color malva (poco deciso), delle bretelle di un cameriere, diviene per Antoine fonte d’irritazione, tanto che egli avrebbe voglia di gridare loro di assumere il colore viola, di ammettere la loro falsa umiltà, il loro essere “[…] ostinate nel loro sforzo incompiuto […]”. La desolazione delle vie cittadine rispecchia l’animo di Antoine. Ogni cosa lo colpisce: Gli occhi vividi di due giovani amanti, il vento che sibila tra le abitazioni, il fumo delle sigarette degli uomini in strada, i denti guasti di quell’uomo seduto dentro il Caffè, le guance rosse di Anny, il gorgoglio (simile a un rantolo) di una fontana, e la radice di quel castagno che s’insinua tra le falde del terreno. Tutto ciò che esiste, irrompe nella sua vita, lo schiaccia. “[…] Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto […]. Alla maniera di un fotogramma del cinema, lo sguardo del protagonista seleziona la realtà da includere nell’inquadratura del suo teleobiettivo. L’immagine della realtà, raccontata dagli occhi di Antoine, risulta a noi che leggiamo, come assorbita dal suo sguardo, quasi pietrificata, come dagli occhi di Medusa. Allo stesso tempo in cui sorprendiamo lo sguardo di Antoine a oggettivare la realtà, è la realtà stessa a rendere Antoine un oggetto di sé. Egli riconosce di esistere. Egli è lì nel mondo della contingenza. Egli è un corpo. Per questo esiste ancor prima di essere. Le sue braccia penzoloni, che incontriamo più volte nel romanzo, queste braccia molli, abbandonate a se stesse, descrivono la frustrazione di quest’uomo, e l’agonia che egli prova in questa vita esasperante. Attraverso le parole di Sartre riusciamo a sondare il senso delle cose, comprendiamo il loro essere gratuite, e attraverso di loro ritroviamo noi stessi. La nausea è un romanzo che racconta la nostra condizione priva di senso, una lettura che ci coinvolge da vicino. La nausea siamo noi.

 Elisa Scirocchi

 

 

3 pensieri su “Sartre, La nausea. Una recensione di Elisa Scirocchi

  1. Scritto in maniera semplice, così da poter essere capito e apprezzato dai non ‘addetti ai lavori’. Analisi competente, dettagliata, precisa e ricercata.

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