La figlia di Carrie Buck, di Stephen Jay Gould

Prima di essere una toccante storia umana, questo brano è un giallo. Un giallo storico risolto solo recentemente grazie ad indagini in vecchi archivi. E’ la storia di Carrie Buck, la prima donna statunitense (la prima di una lunga serie) a cui venne praticata, in maniera ufficiale, una sterilizzazione eugenetica coatta da parte del proprio governo. E’ una storia, a livello di gender, principalmente di donne, ma più genericamente di poveri, di classismo, di razzismo ed eugenetica, di darwinismo sociale, ambientata negli USA, prima ancora che la Germania nazista applicasse e sviluppasse in maniera orrendamente originale questi protocolli medici che provenivano (anche) da oltre oceano, e che non termineranno certo con la fine della Germania hitleriana. Una storia che parla anche di scienza, quell’impresa e quel fenomeno sociale che spesso legittima ideologicamente se stesso presentandosi col camice bianco: asettico, apolitico ed imparziale. Questa storia, e non poteva essere altrimenti,  è narrata da un grande scienziato: il divulgatore, paleontologo, naturalista e darwinista Stephen Jay Gould. Per gentile concessione della casa editrice Feltrinelli, presentiamo il piccolo saggio di Gould intitolato “La figlia di Carrie Buck”, apparso in italiano nella bellissima raccolta (link) “Il sorriso del fenicottero”, Feltrinelli (1987). La traduzione del piccolo saggio è di Lucia Maldacea.

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Il Nietzsche classista, razzista, illiberale, antimoderno, reazionario…

Hitler visita l'archivio Nietzsche e stringe la mano di Elisabeth Foster,  la sorella del filosofo (Weimar, 1933)

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«Lo “sfruttamento” non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva: esso concerne l’essenza del vivente, in quanto funzione organica, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. – Ammesso che questa, come teoria, sia una novità – come realtà è il fatto originario di tutta la storia: si sia fino a questo punto sinceri con se stessi»  (Al di là del bene e del male).

Spesso si dice che il “genio” esca fuori dalla storia, sia in grado di trascenderla per andar oltre i suoi schemi culturali. La “revisione” nietzschiana degli anni Sessanta ha contribuito a far tornare questo mito romantico dalla stessa finestra del nichilismo ermeneutico, da cui sembrava svanito. Ma  niente di tutto questo è possibile. Friedrich Nietzsche, che pure è stato il più grande innovatore filosofico del suo tempo, risulta anch’egli un prodotto socio-culturale. Il filosofo che ha distrutto ogni dogma viveva di dogmi. Anche il filosofo che ha combattuto la storia lineare e progressiva cristiana e  illuministica viveva nella storia. L’ermeneutica contemporanea, che pure ha contribuito a fondare, ci assicura del fatto che il “prodotto” (Nietzsche) ha contribuito a creare cultura, e storia. Ma  questo non toglie che di un prodotto si parli. E non è possibile capire e interpretare Nietzsche senza il darwinismo sociale, il positivismo più becero, la Germania ed il pangermanismo di Bismarck, senza la filosofia tedesca (e la sua peculiare ma sfaccettata riscoperta della grecità come rifugio contro la modernità), l’imperialismo europeo, l’avversione al socialismo, al liberalismo e ai contenuti più egalitari dell’illuminismo. E, per esempio, non si può capire a pieno la sua distinzione fra morale dei signori e degli schiavi,  fra schiavitù e uomini liberi (che coltivano l’aristocratico e letterario otium) senza tener presente anche la biografia di Nietzsche, che si arruolò come volontario nella guerra franco-prussiana; inoltre, a soli 34 anni si dimise dall’insegnamento ricevendo una pensione e frequentando, quasi apolide, un genere di vita del tutto privo di problemi economici. Nietzsche respinge con sdegno gli sviluppi della società industriale e del liberalismo, e accusa  i liberali e i socialisti di odiare l’antichità classica, fondata sul riconoscimento della necessità di affidare il lavoro ad una classe di schiavi, la cui terribile condizione renderebbe possibile a un ristretto numero di uomini “olimpici” la produzione e la fruizione del mondo dell’arte. Tutto ciò è, anche, Friedrich Nietzsche. Ma a determinare il suo pensiero vi è anche la solitudine, la sofferenza, la sua famiglia, le sue emicranie (sifilide?), la sua quasi cecità e la gelosia (Lou von Salomé, la “superdonna” con cui intraprese un menage à trois, gli procurerà una depressione).  Questo lo si scopre leggendo i suoi testi, studiando la sua biografia, e fermandosi su quei temi “tetri” che le (relativamente) recenti letture del filosofo tedesco  hanno volutamente trascurato, snobbato o marginalizzato, per dare maggior risalto alle sue indubitabili e magistrali intuizioni. Nietzsche, in sintesi, è il più radicale antimoderno dell’Ottocento, e al contempo il meno dogmatico, fascinoso e imprevedibile degli antimoderni.

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