Reinhart Koselleck, Storia. La formazione del concetto moderno. Una recensione di Francesca Borsari

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Resta la certezza che il concetto della storia non sarà in grado di sciogliere il cosiddetto enigma della storia (p. 140).

Quello proposto è un testo di non facile lettura, soprattutto per le citazioni che costituiscono una sorta di secondo corpo testuale. Se si prescinde tuttavia da questa difficoltà e se si amano le sfide, si troveranno intuizioni importanti e interessanti che riguardano la storia della storiografia, ma anche i presupposti per uno studio attuale della storia. E’ un testo che non può mancare per gli amanti degli studi sul linguaggio e delle sue connessioni con la storia, la filosofia e la cultura. Introducendo brevemente l’autore di questo libro, lo storico tedesco Reinhart Koselleck nasce nel 1923 a Gorlick in Germania. Dopo aver compiuto  i suoi studi in Inghilterra, diverrà professore ordinario di alcune università tedesche quali Bochum, Heidelberg e Bielefeld. Interviene inoltre come visiting professor nelle università di tutto il mondo. Morirà nel 2006 all’età di 83 anni. Tra le opere principali troviamo Critica illuminista e crisi della società borghese, che analizza la critica illuminista allo stato assoluto nella prospettiva di evidenziarne le contraddizioni, in quanto finalizzata alla conquista di potere da parte di nuovi soggetti sociali. Altri testi fondamentali sono La Prussia tra riforma e rivoluzione (1791-1848) e Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici. In quest’ultimo egli si pone due domande di fondo: che cosa sia il tempo storico e quale sia il metodo per applicare correttamente i concetti utilizzati in storiografia. Riguardo la prima, argomenta che non solo il tempo storico è differente da quello della natura, ma che al suo interno sono presenti diversi segmenti temporali costituiti da gruppi e interessi specifici. La seconda domanda rimanda immediatamente al suo originale contributo metodologico. Koselleck propone una “Storia dei concetti” (Begriffgeschichte), distaccata dalla storia delle idee in senso tradizionale, che mira ad individuare gli elementi “costituzionali” dei concetti, cioè quelli che possono essere messi in relazione con le dinamiche strutturali della società.

La Begriffgeschichte, disciplina affermatasi negli anni ’50 del secolo scorso, vede nei concetti non solo il riflesso dell’esperienza del mondo, ma anche gli elementi costitutivi della stessa. Il termine “storia dei concetti” era comparso per la prima volta con Hegel, in riferimento alla storia interpretativa che indirizza la storia in generale alla filosofia. E’ nel XX secolo però che il lemma pervenne ad indicare un autonomo campo per la metodologia della filosofia, prevedendo l’analisi delle variazioni del significato dei concetti in relazione al mutamento delle strutture semantiche in cui vengono di volta in volta storicamente impiegati. L’esposizione di questo metodo trova la sua consacrazione nei volumi dei Geschichtliche Grundbegriffe (concetti storiografici fondamentali), editi da Koselleck, insieme con O.Brunner e W.Conze, riguardanti il lessico dei concetti fondamentali della politica di lingua tedesca. Con essi si intende fornire una complessiva raccolta del vocabolario politico, che permetta un adeguato controllo semantico nell’impiego contemporaneo dei concetti. L’ideologizzazione viene evitata grazie ad indagini logico-genetiche sulla storia dei singoli lemmi. All’interno di questo orientamento Koselleck sviluppa una vera e propria teoria dei tempi storici, che assume come luogo della trasformazione del lessico politico europeo la fase tra la fine del sec. XVIII e la prima metà del XIX. Con essa, il lessico politico europeo, in forza di processi di democratizzazione, ideologizzazione, di politicizzazione del linguaggio politico e di temporalizzazione dell’esperienza storica, vede definitivamente trasformato il significato storico dei propri concetti.

Il testo preso in esame, dal titolo originale Geschichte, Historie e la cui edizione italiana è a cura di Rossana Lista, è un estratto dell’opera Geschichtliche Grundbegriffe. In esso Koselleck  analizza la transizione al moderno concetto di “storia”, passaggio registrato puntualmente da un cambiamento linguistico e semantico, quasi un neologismo, la parola tedesca Geschichte, assunta a designare ufficialmente il nuovo concetto a partire dall’ultimo trentennio del XVIII secolo. Koselleck osserva che l’introduzione del singolare collettivo Geschischte, fornisce l’impulso per due processi. Da un lato unisce in un solo concetto l’insieme delle singole storie, dall’altro si contamina di altri significati quali “evento” e “historie”, giungendo a comprendere conoscenza, narrazione e riflessione sulla storia. Per quanto riguarda la prima implicazione, se fino alla seconda metà del 1700 era stato impossibile pensare ad una storia senza soggetto di riferimento, il nuovo termine che si andava affermando mirava invece ad un più alto livello di astrazione, dapprima inteso come somma delle singole storie, poi rivolto al loro collegamento e alla loro connessione logica, che collocava il piano dei semplici avvenimenti ad una dimensione inferiore. Acquisendo una maggiore autonomia, divenne il soggetto di sé stessa, crebbe la sua pretesa di verità e venne meno il riferimento a Dio. Dall’altra parte Geschichte assorbì anche il contenuto semantico che possedeva il termine historie, designante l’atto della narrazione e la conoscenza della storia, da sempre utilizzata in senso riflessivo e senza soggetto. Dal momento in cui avvenne questa fusione divenne difficile distinguere tra la “storia effettiva” e la riflessione compiuta su di essa.

Si evince l’importanza della riflessione nella coniazione del nuovo concetto, passaggio reso possibile dalla parallela nascita della filosofia della storia (Geschichtsphilosophie), che a partire dall’Illuminismo si costituì come disciplina autonoma, staccata da altre discipline quali retorica, filosofia morale, teologia, giurisprudenza. E’ un processo che avvenne in tre fasi.
In primo luogo vi è l’apporto della riflessione estetica, che sin dall’antichità tentava di definire il rapporto tra storia e poesia. Una filosofia della storia diventò possibile nel momento in cui questi due ambiti si fusero: l’historie si appropriò dell’universalità della poesia e la poesia si sottopose all’esigenza della verità storica. I poeti utilizzavano Geschichte  per assicurare un sicuro contenuto di verità, mentre l’historie acquistava il precetto poetico di creare unità istitutive di senso, al fine di ricavarne un ordine interno invece che cronologico; in tal modo la realtà storica era acquisibile solo tramite la riflessione. Gli altri due passaggi avvennero in ambito morale e in quello della riflessione epistemologica. L’historie, che prima sottoponeva storie reali a norme morali, dal XVIII secolo demandò la prova della moralità alla storia stessa. Nell’Illuminismo la posterità venne innalzata a tribunale della giustizia. Quando poi si cominciò a pensare ad una “storia in generale” si oltrepassò una soglia ulteriore, la storia intesa come “processo” fece sì che anche la morale della storia venisse temporalizzata. Altra eredità dell’Illuminismo fu il tentativo di formulazione di ipotesi razionali all’interno della riflessione sull’histoire, il quale accantonò la connessione interna alla storia data dal piano divino, dalla Provvidenza, per sostituirgli connessioni ricavabili dalla storia stessa. Questi elementi furono sviluppati dall’Idealismo tedesco e furono congiunti in una filosofia della storia che riconosceva essa stessa come razionale, emancipandone la ragione e le idee.

Il processo di storicizzazione del tempo avvenne in concomitanza con la scoperta di un tempo nuovo (Neuzeit), quello della modernità, in seguito all’esperienza della Rivoluzione francese. Questa produsse una crisi di orientamento e dunque la necessità di trovare un nuovo orizzonte interpretativo. Il nuovo concetto di storia si prestava bene a questo compito, poiché permetteva di unificare riflessione e realtà. Il contributo dell’Idealismo tedesco fu quello di introdurre alcuni concetti fondamentali, grazie ai quali la Geschichte raggiunse la piena autonomia. Alla connessione causale meccanicista di matrice illuminista, venne sostituito l’assioma dell’unicità, che meglio si prestava all’interpretazione di un evento che non aveva antecedenti come quello della Rivoluzione. Fare riferimento ad una “storia in generale”, significava definire un tempo storico immanente a tutti i singoli fattori, che andava a differenziarsi storicamente. La storia non era solo adatta a contenere innumerevoli eventi, ma anche tempi differenti. Si guardava al passato in termini di storia ed al futuro, il “nuovo tempo” in termini di progresso, avviando così al concetto di contemporaneità del non-contemporaneo. Esso non faceva riferimento solo al fatto che da quel momento la narrazione poteva trasferire ciò che era passato nel presente, ma anche al fatto che il tempo acquisiva una dimensione di progettualità futura, elemento non contemporaneo che retroagiva al contrario sulla contemporaneità e sulla sua comprensione.

Altro assioma che venne introdotto fu il concetto di forza, che attraverso la sua direzionalità rimandava all’unicità della storia molto più dell’impostazione meccanicista illuminista. Per gli idealisti inoltre non andavano cercate le cause finali, ma indagate quelle motrici che determinano l’origine degli avvenimenti. In terzo luogo, di fronte all’unicità storica di un evento come quello della Rivoluzione, oltre a svilupparsi l’idea di una storia creativamente produttrice, le vecchie historien perdevano il loro compito di maestre di vita. Il futuro acquistava una nuova collocazione, nel momento in cui il tempo acquisiva una qualità storico-dinamica. La storia da concetto a priori si trasformò in concetto di azione, la Rivoluzione sembrava suggerire un “segno”, una tendenza generale al progredire. Scrive Joseph Görres nel 1819:

La storia può insegnarvi poco. Se tutti volete andare alla sua scuola, prendete a maestra la Rivoluzione; il corso di molti secoli pigri si è in essa accelerato nel giro di pochi anni. (p. 66)

In questo quadro, si stabilisce una nuova correlazione fra esperienza (le differenti storie precedenti) e attesa (storia del futuro), temporalizzata in un unico processo, in cui era dovere umano intervenire agendo. Infine mutò il valore posizionale del “passato”. Diveniva inutile continuare l’insegnamento per exempla, di eventi sconnessi, piuttosto l’elaborazione del passato era visto in progresso con la storia stessa. Occorreva conoscere la storia nel suo insieme per rendere ragione dell’unicità dell’intera storia e allo stesso tempo della distinguibilità tra passato e futuro.

Grazie ai passaggi descritti in precedenza la storia poté trasformarsi in concetto guida moderno. La sua coniazione si è compiuta sia in ambito scientifico che nello spazio del linguaggio politico-sociale della vita quotidiana. A tenere uniti questi due ambiti furono i circoli della borghesia colta attraverso i suoi libri e giornali e a cui fecero seguito numerose associazioni e istituzioni. Essa per affermarsi doveva appropriarsi della propria identità e per farlo doveva sviluppare un’autocoscienza storica. Dal momento in cui la storia si era trasformata in un concetto della riflessione che metteva in comunicazione il futuro con il passato, spiegando o legittimando l’uno con l’altro, questo compito poteva essere percepito in modo diverso. Così fece la borghesia nel XX secolo dando l’impulso a nazioni, classi, partiti, gruppi che si richiamarono alla storia per vedere la propria posizione riconosciuta in ambito politico e sociale. La relatività dei giudizi contribuì a costituire il concetto di Geschichte. Il prospettivismo, che nasce come una reazione ad una sorta di “realismo ingenuo”, e che scorge a partire da Chladenius nella verosimiglianza una propria forma della verità, aggiunse all’ambivalenza già insita nel concetto di storia, un elemento di ambiguità. La storia diventò un bacino adatto a contenere tutte le possibili storie, sia a sostegno dell’ideologia che volte alla sua critica. Koselleck parla di “eccedenza” di significati di cui viene rivestito il concetto di storia, il quale si spinge oltre il suo contenuto di realtà e si carica di aspettative per il futuro. La ragione più profonda di questa ambiguità risiede nella nuova temporalizzazione e nell’aporia che apre fra esperienza e attesa. Mondanizzando il tempo storico, ed eliminando progressivamente il riferimento a Dio, si assiste ad una parallela estensione del tempo storico a tutte tre le dimensioni temporali, che influisce sui mutamenti delle prospettive storiografiche. Lungo questa linea il futuro viene concepito come progresso, il passato come Geschichte, dimensioni unite nel continuum dello sviluppo, inferenza che oltre a fornire una prospettiva di linearità e continuità, conferiva un’unità superiore di significato che vedeva nel futuro il compimento di attese derivanti dal passato.

Tesi centrale nel testo di Koselleck è l’individuazione dello schema escatologico promessa/compimento proprio della tradizione cristiana. Paradossalmente persino il Marxismo non risulta immune da questo schema. Insita in esso è un’idea “processuale” di storia che vedeva nel “futuro del tempo compiuto” la chiave interpretativa per il passato. Tra esperienza della storia e compimento del futuro, veniva introdotta una nuova dimensione del tempo, quella dell’attesa del compimento, che si caricava di aspettative. Ciò ha permesso a gruppi diversi di legittimarsi, grazie al giudizio retrospettivo di cui investivano il passato in vista del futuro atteso. Prendiamo ad esempio le parole di Hitler di un discorso del gennaio 1933:

E’ in ultima analisi indifferente quale percentuale del popolo tedesco fa la storia in Germania. Essenziale è solo che siamo noi gli ultimi a fare la storia in Germania. (p. 137)

Ma questo era stato reso possibile proprio dal nuovo concetto riflessivo di storia, pensabile come totalità che riuniva in sé tutte le dimensioni temporali. Si pensi ad idee come quelle di progresso e di sviluppo. Il mistero è per Koselleck insito in questa ambiguità, laddove l’unificazione delle dimensioni temporali ha favorito il prospettivismo legittimante. Nella conclusione della sua introduzione la curatrice fa notare una singolare coincidenza fra L’ambivalenza del tempo nella storia di Henry Irénée Marrou e la chiusa di Koselleck. In entrambi, è messo in evidenza il “mistero della storia”:

Resta la certezza che il concetto della storia non sarà in grado di sciogliere il cosiddetto enigma della storia. (p.140)

La singolarità risulta più evidente laddove si confrontino i retroterra di due studiosi molto diversi tra di loro. Tra i più importanti specialisti del pensiero agostiniano, lo storico francese Marrou è esponente di un cristianesimo insieme radicale e moderno. Nella sua esposizione del tempo storico in Sant’Agostino, ne descrive l’ambivalenza insita, prodotta dalla tensione delle due caratteristiche ontologicamente diverse appartenenti al tempo storico, grazia e peccato. Il mistero della storia è il mistero stesso della libertà umana che si muove appunto tra peccato e grazie redentrice. Il significato delle azioni umane sarà perciò accessibile solo nel momento in cui la storia verrà acquisita definitivamente.

Ciò che accomuna il lavoro dei due studiosi è dunque la riflessione sull’ontologia del tempo storico. Citando Marrou dopo i discorsi sull’“infinito prospettivismo” dell’epoca in cui viviamo, Koselleck potrebbe voler sottolineare due aspetti. Il primo è lo schema interpretativo cristiano della storia di cui Marrou è esponente attraverso l’analisi dell’opera di Sant’Agostino. La citazione potrebbe essere implicitamente un modo per sottolineare la somiglianza sostanziale delle “intepretazioni moderne” con quella del cristianesimo. Il secondo, più diretto, potrebbe rimandare, come sottolinea Rossana Lista, all’opposizione di entrambi a ogni tentativo di esaurire o contenere il senso della storia (p.21), forse perché figli dello stesso tempo e dunque poco predisposti, pur partendo da premesse differenti, ad asservirsi all’ideologia.

Nel pensiero di Koselleck si scorgono alcune influenze. Vi è sicuramente quella di Karl Lowith, il quale sosteneva che i tentativi di fare una filosofia della storia, ovvero la possibilità di trovare un principio unico per interpretare la storia universale, erano di derivazione teologica, arrivando a sostenere che la “fiaccola dell’escatologia” fu tenuta accesa proprio da ateisti come Marx e Nietzsche. Anche Alfred Weber, fratello del più famoso Max, influisce sul pensiero di Koselleck. Nemico di ogni forma di totalitarismo filosofico e politico, ma al tempo stesso consapevole che l’uomo non è una tabula rasa, riteneva necessario che ogni cambiamento sociale avvenisse in modo graduale e rispettoso delle scelte culturali dei singoli, perciò non imposto dall’alto. Un’influenza metodologica inoltre, può essere riscontrata in Hans Georg Gadamer, che riteneva possibile interpretare la storia non tanto come essenza, bensì nella sua funzione di linguaggio, prospettiva che trova un riflesso nella Begriffgeschichte. Sullo sfondo infine Heidegger, per il quale l’analisi della temporalità dell’essere si fondava su di un’analisi linguistica.

Se si fa riferimento all’anno di pubblicazione del volume, il 1975, si evince come l’epoca in cui si colloca non sia indifferente nel determinare la posizione dello storiografo. A partire dagli anni Sessanta si entra nella cosiddetta “postmodernità”, ovvero si diffonde progressivamente la persuasione secondo cui all’interno della modernità si era verificato, ad un certo punto, qualcosa come una cesura, un radicale mutamento di paradigma nel modo di concepire la realtà. Alle idee madri della modernità viene contrapposta una sfiducia nei macro-saperi totalizzanti e l’abbandono delle legittimazioni “forti” o “assolute” della filosofia, a favore di forme deboli o instabili di razionalità. Vi è inoltre il rifiuto di concepire la successione temporale in termini di superamento ed il tramonto della maniera storicistica di pensare la realtà, con l’avvento della cosiddetta posthistoire. Vi è infine il passaggio dal paradigma dell’unità a quello della molteplicità.

Alle spalle di questo mutato atteggiamento vi è una serie concatenata di avvenimenti storici (le guerre mondiali, gli orrori dei campi di concentramento, i fallimenti del socialismo reale, gli inconvenienti del capitalismo, i pericoli di una guerra atomica, la minaccia di una catastrofe ecologica ecc.) che hanno minato alla base i principali “miti” della modernità, a cominciare da quelli del progresso e dell’emancipazione. All’interno di questo panorama storico, l’orientamento di Koselleck è quello di contrarietà al contenimento del senso della storia, evidente nel suo richiamo a Marrou rispetto al “mistero della storia” di cui si è parlato in precedenza.  Il percorso che segue è chiaro e lineare, benché sia reso complesso talvolta dalle citazioni presenti costituenti il “corpo stesso dell’esposizione”. Oltre a testimoniare l’ampiezza della bibliografia utilizzata, le citazioni acquistano valore esemplificativo. Se poi si considera l’importanza del linguaggio per Koselleck, non si può prescindere da esse, ma occorre considerarle in qualche modo il linguaggio della storia.

Un pensiero su “Reinhart Koselleck, Storia. La formazione del concetto moderno. Una recensione di Francesca Borsari

  1. Credo che l’ottima recensione porti su di un terreno decisivo: una decostruzione effettiva del moderno e della borghesia, che per Koselleck coincide con la massoneria. Fino ad oggi critica del moderno e critica della borghesia non mi pare siano arrivate al punto, perché si ricasca sempre nell’anti-mpoderno, nell’anti-borhese, nell’anti-massonico; cioè non schiodiamo dal postmoderno. Se invece ripartissimo da Koselleck accostato a Vico considerato alternativo a Voltaire, come propone il grande José Faur che illustra la ricezione sefardita di Vico, forse andremmo da qualche parte.
    Buon lavoro

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