“Il Sole dell’Avvenire” di Valerio Evangelisti, una recensione.

Per una genealogia del proletariato italiano. Potrebbe essere questo un altro sottotitolo possibile per l’ultima produzione letteraria di Valerio EvangelistiIl Sole dell’Avvenire”, edito dalla Casa Editrice milanese Mondadori. Certamente sarà nostra cura inserire il libro in una ipotetica vetrina di interventi letterari (senza necessariamente dover chiamare un “genere” per definirli) che da qualche anno indagano la genesi del nostro protagonismo rivoluzionario e le sue alterne vicende italiane. Nel progetto dell’autore il focus territoriale deve essere senza dubbio l’Emilia Romagna, per un periodo storico che dalla fine dell’Ottocento si inoltra fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento. Il libro racconta di Famiglia ed Amicizia, narrando le vicende pubbliche e private di una fitta rete comunitaria che attraversa la Storia e, soprattutto, le Storie di ogni Essere umano che la intreccia. Sullo sfondo l’arte della Vita, tra lavoro ed impegno sociale. Compassione e partecipazione. Dove l’impegno sociale non è solo un investimento del tempo libero, o peggio ancora una banale professione, ma una necessità per costruire sopravvivenza collettiva. Pane e Lavoro.

Vivere lavorando o morire combattendo, recita l’eco di copertina, evocando uno slogan politico che accompagnava alcuni sommovimenti dei lavoratori nella Francia di metà Ottocento, tradotto in Italia sulle bandiere rosse e nere del socialismo rivoluzionario prima della (ri)organizzazione a tappe forzate subita dalla galassia più o meno conflittuale del movimento proletario italiano (si fa riferimento ad anarchici, repubblicani, ex garibaldini e mazziniani, democratici radicali e socialisti) non solo romagnola ma nazionale. Vivere lavorando o morire combattendo è anche il fil rouge che attraversa tutte le circa cinquecentopagine del libro. Un libro che riprende lo stile allo stesso tempo narrativo e didattico di “One Big Union”, splendido affresco del sindacalismo rivoluzionario americano di inizio Novecento. Attilio detto “Tilio”, suo figlio Canzio, la moglie Rosa e la Famiglia Minguzzi tutta. Il maestro Romeo Mingozzi, Gaetano Zirardini anche detto “Tanino” e la sua Famiglia. Isa e Ricciotti Garibaldi. E tanti altri. Braccianti e Fattori. Padroni e lavoratori. Sfruttati e sfruttatori. Nomi e Cognomi. Tutti protagonisti di una rappresentazione che ha per soggetto principale le relazioni umane. La loro trasformazione continua sulle ondate violente della modernizzazione (tanto economica quanto politica) che stravolge totalmente i nuclei familiari ed una incredibile rete comunitaria di mutuo soccorso tra “poveri”. Il senso della povertà aveva una dimensione spirituale totalmente diversa. Eppure questa “modernizzazione” travolge non solo alcuni equilibri di proprietà (ad esempio la mezzadria) ma soprattutto annienta questo ricchissimo campo sociale di intervento collettivo che faceva da argine alle disgrazie della Vita privata, alla disoccupazione ed all’alcolismo diffuso. La “tecnica” spazza via quel socialismo “caldo” che si fondava principalmente sul mutualismo comunitario, sul collettivismo che facilmente si saldava con le istanze più avanzate dell’anarchismo e di un certo repubblicanesimo democratico e radicale. Vivere lavorando o morire combattendo è anche uno snodo schizofrenico della coscienza. Lavoro e Conflitto. Lavoro o Conflitto. Da ultimo, per questa prima parte de “Il Sole dell’Avvenire”, quel senso alto della compartecipazione alle sorti del Mondo porta questi ultimi socialisti “caldi” (contro la “freddezza” del socialismo scientifico) ad attraversare l’Adriatico per compiere l’ultima impresa, in Grecia, cercando di difendere la culla della Democrazia dal dominio ottomano. Torneranno a casa, sconfitti eppure acclamati.

“Il Sole dell’Avvenire” racconta una trasformazione profonda non solo delle attività prodottive (la decadenza di alcune professioni a favore di altre e la ricaduta sociale di questi eventi) ma soprattutto nelle modalità di organizzazione del Lavoro per far fronte a queste trasformazioni. Così narra l’approdo del socialismo “caldo” nel recinto del socialismo scientifico che dal “milanese” innervava tutto il movimento operaio provocando innanzitutto scissioni. Divisioni (e poi eventualmente alleanze) con le altre aree dell’antagonismo. In questo modo un immaginario costruito sul mito garibaldino, sulle avventure mazziniane e sul mutualismo anarchico andava piano piano scomparendo per far posto ai dogmi “forti” della nuova Verità rivoluzionaria. Al “gradualismo” del Partito Socialista, all’evoluzionismo della dottrina scientifica di Carlo Marx. La trasformazione è stata tanto pesante da cancellare totalmente questa galassia di slogan, immagini e parole. Il lavoro di Valerio Evangelisti ha il merito di recuperare questo rimosso, per regalarlo al presente come testamento critico di un’attualità che deve essere ancora costruita.