Oratoria, retorica, il saper parlare. Analisi del discorso di Marco Antonio


Retorica di filosofiprecari

Il discorso di Marco Antonio, qui reso in versione cinematografica da uno statuario e olimpico Marlon Brando (italiano, qui doppiato dal grande Emilio Cigoli, voce forse più coinvolgente di quella originale), è uno degli esempi più incredibili dell’uso dell’arte oratoria. E’ uno degli esempi più illuminanti di quello che è il vero fine di un discorso: la gestione dell’emotività dell’interlocutore. Shakespeare, anche in questo caso (come nel Mercante di Venezia, ma in tante altre opere) dimostra che a saper convincere un pubblico sono sempre coloro che usano particolari accorgimenti retorici.

Analizziamone alcuni in questa breve recensione: innanzitutto, Antonio saluta gli astanti con il termine “amici romani”, rispetto a quello usato nel discorso precedente da Bruto (“cittadini”, più tecnico e meno empatico). Antonio diventa cioè “uno di noi”, abbassa le distanze (rispetto al discorso di Bruto, lui parla molto più vicino alla folla, quasi immerso in essa) e più volte afferma che il suo parlare è chiaro, semplice, schietto, non di uno che ha studiato (afferma: “sono un uomo semplice, alla mano, che ama l’amico… dico alla buona io, dico le cose che sapete già”); si rende cioè appetibile alla folla, si avvicina loro emotivamente, si rende “compatibile” (dal greco): lui è uno che soffre, pensa, agisce come “noi” e coinvolge la folla nel suo discorso, le dà la sensazione di partecipare a delle decisioni importanti (chiede: “posso scendere, ho il vostro permesso?”).

In secondo luogo: l’uso della captatio benevolentiae. Tutto questo discorso non è nient’altro che un saper indirizzare l’emotività di chi ha di fronte, i loro sussulti, le loro reazioni incontrollate (ma per uno stratega comunicativo, altamente controllabili). Antonio parte da una situazione di apparente svantaggio; il popolo romano, dopo il discorso di Bruto reputa Bruto, l’uccisore di Cesare, un ottimo cittadino, mentre reputa Cesare un ambizioso tiranno. L’obiettivo di Antonio è dimostrare esattamente il contrario, e cioè che Bruto sia un ambizioso assassino, mentre Cesare un eroe. Come fare? Antonio comincia ad “accarezzare” (la captatio) secondo collaudate tecniche dialogiche socratiche la platea, affermando diverse volte che Bruto è un ottimo cittadino, ma nel frattempo introduce alcuni fatti che contraddicono questa opinione comune (che è esattamente lo schema della captatio: “tu hai ragione, fai bene a pensarla così, PERO’- MA accade che”… notare l’uso di congiunzioni avversative come nel discorso di Antonio: “…MA Bruto è persona rispettabile”). Ma è esattamente anche il procedimento socratico: assumo una tesi, la tua, ti accarezzo, ma te ne mostro le incogruenze. Antonio è cioè in grado di adattarsi alla folla, e non si schiera apertamente contro la loro accesa emotività, ma la sfrutta, e piano piano la capovolge. Se avesse subito affermato che Bruto fosse un ambizioso e Cesare un eroe, si sarebbe imbattutto contro la loro ostilità. Antonio li affronta, ma non “frontalemente”, bensì in maniera da rappresentare un amico, una guida che è simile a loro, ma sa qualcosa in più dei fatti. Saper unire compartecipazione all’autorità è infatti la chiave del suo saper parlare. Al giorno d’oggi si direbbe che Marco Antonio è un “presidente operaio”.

In terzo luogo: il testamento di Cesare. Antonio nomina fin dall’inizio il testamento di Cesare, con cui il popolo romano avrebbe certamente riconosciuto nel sovrano assassinato un eroe. Volutamente, rimanda temporalmente la lettura del documento e lo rimanda ad un momento migliore, come volesse riservarlo ad una sorpresa finale. Non si tratta solo di un voluto effetto “colpo di scena” (il popolo, già infiammato contro Bruto e contro i cospiratori, dopo la lettura finale del testamento lo è ancora di più), ma di un tentativo di creare una costante dipendenza negli astanti nei suoi confronti (suscitando una forte curiosità) e maggiore trasporto emotivo, come quello che crea un predicatore pentecostale con il suo pubblico.

Quarto punto: lo scarico dell’energia e la maturazione del senso di colpa. Antonio li guida pian piano per mano, sconvolge i loro animi, li porta alla compassione ed al pianto, poi dinuovo all’odio (anche scoprendo il cadavere di Cesare e mostrando le coltellate) e li fa sentire in colpa, indicando al contempo la maniera per indirizzare questa emotività, scaricare l’energia accumulata, l’odio ed il risentimento, la via per emendarsi dalla colpa: emotivamente, Antonio diviene un mallevatore della colpa e di sentimenti irrazionali da convogliare contro Bruto ed i cospiratori. Lui diviene un dio (come Cesare), i cospiratori un male da debellare. E’ il trionfo della retorica, della pericolosa arma della retorica esercitata su dei “consumatori” ignari. Incredibile, nella scena finale, il sorriso compiaciuto di Marlon Brando che dà le spalle alla folla inferocita, consapevole di aver raggiunto il massimo livello di comunicazione efficace.

Per Cicerone, il buon oratore possiede “…l’acume del dialettico, la profondità dei filosofi, l’abilità verbale dei poeti, la memoria dei giureconsulti, la voce dei tragici, il gesto dei migliori attori.” (Cicerone, De oratore, I, 48). L’ars oratoria è saper dire tutto e il contrario di tutto senza apparire contraddittori. Significa in primo luogo persuadere, utilizzare consolidati schemi retorici (che spesso adoperiamo inconsapevolmente) per portare gli ascoltatori ad un prefissato obiettivo. Oggi, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare da una società di massa e mediatica, l’ars oratoria è subordinata più che alla qualità degli oratori, alla quantità delle orazioni; vi è un assiduo e costante bombardamento di slogan e informazioni che da un certo punto di vista rende meno importante la forma oratoria ed i contenuti delle orazioni. Per fare un sempio: essere contraddittori, oggi, non è più un problema per i novelli e mediatici showman della politica. Berlusconi ha recentemente svilito la scuola pubblica ed elogiato quella privata di fronte ad un’assemblea di cattolici. Poco dopo, in un contesto diverso, e attaccato dalle opposizioni, Berlusconi ha negato di averlo fatto, ed ha accusato l’opposizione di travisare e strumentalizzare le sue parole. In questo caso, non si tratta di oratoria, ma piuttosto di uso massiccio dei media, strumenti con cui è possibile bombardare l’opinione pubblica con la propria versione dei fatti. Ciononostante, saper parlare rimane fondamentale, e saper persuadere, convincere, lo è ancora di più. Le cose si fanno singolarmente complicate, il saper parlare ora si chiama “Public speaking” (cambiano i nomi e le mode culturali, ma l’ars oratoria e stata già codificata dagli “antichi”) ed i politici affidano ogni loro mossa, ogni aspetto della loro immagine, dalla comunicazione verbale a quella non verbale, fino a quella semplicemente visiva, a managers appositi ed a riunioni preventive con gli occulti consiglieri della comunicazione postmoderna. Compaiono, contemporanemanete, nuove guide e Guru in camicie smanicate, mistici che promettono l’aquisizione di superpoteri, che promettono di saper insegnare a chiunque il successo ed il potere, il potere di essere comunicativi, di saper convincere, e quindi vendere se stessi, vendere le proprie idee come un consulente di vendita promuove i prodotti in un grande magazzino. Il “parlar franco” di alcuni greci (Plutarco), la parresia, non è che un vago ricordo; dalla sua “arte di ascoltare” si è passati a quella di finger di ascoltare. Più che solo parlare, il novello vir bonus dicendi peritus deve essere un vero e proprio psicologo della comunicazione, sapersi adattare in continuazione agli auditori, alle situazioni, agli imprevisti, in base agli obiettivi del suo comunicare. Nel mondo che, secondo Habermas, si riduce a comunicazione ed a comunicazione negata, l’autoafermazione passerebbe dal saper presentarsi ad un pubblico, dal posto di lavoro, ad un colloquio, alla famiglia, fino ad una platea cordiale o inferocita.

Ma chi ha inventato o formalizzato queste tecniche retoriche? In Occidente, certamente i Greci (specie da Aristotele in avanti), poi i Romani, che ripresero questo monumentale sapere e lo sistematizzarono in maniera simile. Cicerone, uno dei più “efficaci” rètori della storia, affermava che un discorso doveva essere in grado di docere, movere, delectare, quindi doveva essere in grado di coinvolgere più piani, dalla ragionevolezza degli interlocutori, fino all’emotività, ed al loro gusto estetico. I Romani, esattamente come i Greci – che nelle agorà combattevano la loro autoaffermazione politica e sociale – già ben sapevano che una comunicazione efficace si basa sui dettagli e su precise regole che oggi definiremmo verbali, paraverbali (l’intonazione della voce, il cambiamento di tono ecc.) e non verbali (l’abbigliamento, lo sguardo, i movimenti, la vicinazna, la capacità di coinvolgimento, la capacità di suscitare risate, serietà, stati d’animo ecc). E comprendevano che le parti paraverbali e non verbali hanno più importanza del messaggio stesso. Lezione, questa, totalmente assorbita dalla modernità e dal Novecento.

Alessandro Stella

4 pensieri su “Oratoria, retorica, il saper parlare. Analisi del discorso di Marco Antonio

  1. Veramente spettacolare. L’avevo visto tanti anni fà, e quasi non me lo ricordavo più. E’ per cosi’ dire rigenerante. Grazie per lo spettacolo.

  2. Orazione di una potenza inarrivabile che riesce a scuotere le coscienze anche a distanza di millenni. Tanto più vera e commovente perchè pronunciata non da un semplice amico, ma da un suo commilitone compagno di tante battaglie vinte e sofferte quale era Marcantonio, suo generale in Gallia. Autentica amicizia che si cementa e si sublima in guerra nei lunghi anni passati in battaglie cruente e furiose e infine vinte.

  3. Buonasera Professore, post molto interessante. Sono una sua ex studentessa (facevo parte della sua prima classe) e ricordavo che in un’ora di supplenza ci fece vedere questo video quindi l’ho ricercato ed ho trovato questo articolo scritto da lei. Volevo dirle che, anche se sembravamo poco interessante, qualcosa lo ha lasciato e quella lezione mi è stata molto utile, non sono per l’università, ma anche nella vita.
    buona vita e viva la filosofia 🙂

    • Alessia, mi ricordo di te eccome! E il fatto che questo post ti sia servito mi riempie di gioia. Viva la vita e la filosofia 🙂 un abbraccio

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