Georg Simmel, I problemi della filosofia della storia. Una recensione di Francesca Borsari

Georg Simmel

La conoscenza è una nuova formazione in sé conchiusa, dotata di specifiche categorie e soggetta a proprie leggi (Georg Simmel).

Se siete appassionati di storiografia, se siete interessati ad approfondire temi complessi e controversi, e se siete interessati a farlo con gli occhi di chi si è chiesto, agli albori della contemporaneità, in cosa realmente consistesse il processo conoscitivo e di lì in che cosa consistesse la storia, allora questo è un testo che non può mancare. Il saggio in questione è I Problemi della filosofia della storia (titolo originale: Die Probleme der Geschichtsphilosophie) di Georg Simmel, filosofo dell’epoca Guglielmina, meglio ricordato come sociologo, riscoperto nella sua complessità a partire dagli anni ottanta.  La sua “filosofia della storia”, intesa come riflessione epistemologica e non come telos, è stata parimenti disvelata in quel periodo. Vittorio d’Anna ha tradotto dal tedesco il volume alla sua terza edizione, quella del 1907, considerandola come la realizzazione finale di quel processo in costante evoluzione che era il suo pensiero.

Può sembrare pedante fare una precisazione del genere rispetto alle edizioni, ma questo è in realtà uno dei nuclei fondamentali. Il motivo è che Simmel, nella sua esorbitante produzione, si inserisce più o meno in tutto il dibattito filosofico degli ultimi vent’anni dell’Ottocento e delle prime due decadi del Novecento. Agli esordi è interessato ad inserire le “scienze dello spirito” in una cornice scientifica, è teso all’unificazione delle discipline su un unico terreno, adottando pertanto il positivismo, almeno a livello metodologico. Del positivismo tuttavia non accetta nessuna filosofia, nessun sistema; l’unico terreno di unificazione è infatti quello atomico, che a livello di scienze umane si traduce nell’importanza della psicologia come studio degli impulsi psichici. Il retroterra di Simmel è tuttavia, e non poteva essere altrimenti in suolo tedesco, quello kantiano, che egli traduce in maniera originale nel ritrovamento a posteriori di quelle categorie che sono semplicemente contenuti con una diversa funzione, e non degli insiemi necessari ed esterni di organizzazione dell’esperienza. Ruolo preponderante aveva in quegli anni la sociologia, come disciplina che ricercava le regolarità dell’interazione umana. Il problema di conciliare l’originalità dell’esperienza umana con il concetto di legge e l’emergere del tema del senso come fattore fondamentale nel processo di comprensione, faranno uscire Simmel dall’orizzonte del positivismo. In questi anni egli si pone a metà tra un positivismo di matrice anglosassone e francese che fa derivare tutto dalle grandi strutture sovrapersonali, ed uno storicismo tedesco, inteso come tradizione volta alla valorizzazione di ogni evento e del peculiare contesto storico, che aborriva al contrario ogni concetto di società come “deprivazione di spirito”.

Questo suo “porsi nel mezzo” è una caratteristica che si ripropone quasi in tutto l’arco della sua produzione. Mamélet aveva messo l’accento proprio sul relativismo come caratteristica principale del suo pensiero; Raymond Aron, il primo a portare al di fuori della Germania la Geschichtsphilosophie di Simmel esaminandola nella sua evoluzione, ha tuttavia messo in luce come non sia il relativismo l’aspetto più originale del filosofo, bensì la sua teoria della storia. Questa lo segue in tutte le sue evoluzioni, dall’atomismo alla filosofia della vita, in presenza di concezioni del reale diverse, di modalità di comprensione differenti o di obiettivi diversi. Si evince piano piano perché questo saggio sia importante all’interno della sua produzione, come testimonianza e riproposizione dei suoi interrogativi principali. Lungo questa transizione il ruolo che ha questa terza edizione dei Problemi della filosofia della storia, è innanzitutto un ruolo critico, motivo per il quale la sua opera viene annoverata tra le opere dei neokantiani della fine dell’Ottocento e di inizio Novecento. In quel periodo la filosofia tentava di riprendere quel ruolo di guida rispetto alle scienze che la aveva caratterizzata nei secoli precedenti e che aveva perduto con l’avvento dell’empirismo del crollo dei sistemi metafisici. Negli ultimi trent’anni del XIX secolo si avverte nuovamente un’esigenza ordinatrice e di controllo, alla quale prima il positivismo cerca di dare risposta, seguito dalla proposta neokantiana tedesca. Nel rifiuto sia della metafisica che del relativismo, questa cercava in Kant quella determinazione concettuale che potesse fungere da guida per le cosiddette scienze delle spirito, discipline secondo Dilthey poco avvezze alle leggi causali, poiché concernenti il terreno dell’anima. Simmel si inserisce in questo dibattito già dalla prima edizione dei Problemi della filosofia della storia riconoscendo l’originalità dell’esperienza umana (Erlebnis), riconoscimento che si traduce nell’impossibilità di trovare alcuna legge causale in ambito storico.

Dalla seconda e nella terza edizione dei Problemi tuttavia egli adotta una vera e propria, sebbene originale, critica kantiana che applica alla riflessione sulla storia, collocandosi a pieno titolo nella corrente dello storicismo tedesco contemporaneo. Quest’opera dunque si situa tra l’atomismo e il positivismo metodologico degli inizi della sua carriera e la fase finale metafisica il cui testo più importante, Intuizione della vita, rappresenta anche un importante indizio metodologico. Naturalmente un tale passaggio non era avvenuto in maniera automatica, ma sulla base delle novità introdotte dalla Filosofia del denaro; testo importante da numerosi punti di vista, ma fondamentale da quello gnoseologico poiché fondante il valore, e quindi la categoria, sulle relazioni di scambio tra gli uomini. Lo scambio produce uno strato nuovo che non appartiene più ai singoli ma che non si colloca nemmeno in un altro mondo; esso è invece una sorta di seconda natura immanente alla vita dell’uomo. Questo permette a Simmel di parlare di cultura oggettiva e quindi di categorie.

Nel primo capitolo de I problemi della filosofia della storia viene enunciato che il materiale storico origina dall’insieme di pensieri, sentimenti e atti di volontà che costituiscono la coscienza individuale, ovvero che è psicologico. Tuttavia Simmel distingue tra psicologia e disciplina storica: la prima non preserva l’originalità individuale e non presta attenzione al contenuto ma solo all’a-contenutistico processo. Simmel accoglie la polemica anti-psicologistica di Rickert che argomenta la possibilità di comprendere un fenomeno culturale non sulla base di leggi generali, ma solo in riferimento al valore, che permette allo storico di vedere nei dati empirici dei fenomeni significativi. L’insieme delle relazioni conferisce significatività agli elementi semplici, perciò la conoscenza dell’Erlebnis (esperienza) non può scaturire dagli elementi semplici ma può solo essere colta dal punto di vista della totalità.  Ciò non si traduce tuttavia per Simmel in un’ottica trascendentale; il valore si costituisce al contrario nel corpo storico stesso.

La determinazione del fatto storico si ha in virtù di una sintesi di localizzazione (temporalità e spazialità) e di costruzione di relazioni (atemporalità), una sorta di sintesi dialettica. Nella prima edizione era stato annunciato da Simmel il carattere fittizio di ogni ricostruzione di una personalità che operiamo a partire dai frammenti percettivi, per il quale ogni unità appariva come mera costruzione. Tuttavia l’unità era anche il modo in cui potevamo interpretare paradossalmente gli atti altrui; questo era sostanzialmente il relativismo nella prima fase, questa sorta di circolo infinito tra particolare e totale. L’unità poteva derivare solo dal ritrovamento delle leggi interne, basate sulla nostra conoscenza dei meccanismi psicologici. A partire dalla seconda edizione, cade la necessità ed emerge il concetto di senso, di significazione. Questo sentimento di verosimiglianza psicologica che può presentarsi anche dopo molteplici riflessioni, quando giunge assume la caratteristica di validità obiettiva che giustifica una determinata formazione psichica. A questo risultato non si giunge tramite “esperienze, riflessioni, regolarità psicologiche, queste formano piuttosto solo un gradino preliminare che offre solo una base di appoggio a quel sentimento immediatamente convincente  della verità della vita psichica” (p. 36).

La riproduzione interiore che legittima psicologicamente i fatti esterni ha luogo all’interno di una categoria, a cui la teoria della conoscenza non ha ancora prestato secondo Simmel sufficiente attenzione, la cui regola è ancora sconosciuta, ma per la quale la nozione di senso, sembra essere il punto chiave. Il tessuto storico stesso è pertanto formato da relazioni significative:

 “L’affinità di contenuto di processi che sono tenuti insieme da una certa cornice esterna, le loro relazioni funzionali, la possibilità di un loro ordinamento teleologico, – tutto ciò fa nascere la proiezione di un’unità caratterizzata in un certo modo, che ormai decide da se stessa se accogliere o respingere la pretesa di omogeneità avanzata da altri momenti. La coesione psichica, il margine di deviazione, l’integrazione dei vari momenti in un’immagine complessiva, insomma: tutto ciò che chiamiamo unità della personalità – individuale o sociale – è evidentemente un presupposto metodico senza il quale non si perverrebbe alla comprensibilità e unità dei dati storici. E’ un apriori che rende possibile la storia”(p. 28).

In rapporto al senso anche il concetto di unità muta. Dalla seconda edizione l’unità smette di essere funzionale e si rapporta al senso, cioè quella la totalità ed originalità presenti sia nel soggetto che nell’oggetto, che costituiscono la vera realtà causale dei processi psichici. Se la comprensione riflette l’unità di senso del soggetto che esamina l’altra totalità di senso dell’oggetto, ne risulta la parzialità delle diverse ricostruzioni storiche, nelle quali un concetto ricavato dal senso viene scelto come strumento di selezione. La storia si configura come ricostruzione di un’unità intellegibile diversa rispetto all’essenza della realtà. Continuità vitale in opposizione alla continuità intellegibile sarà un tema ricorrente nell’ultima fase di Simmel. Qual è tuttavia il valore metodologico di questa opposizione antinomica, partendo dal presupposto di questa opposizione tra scienza e vita? “La teoria della conoscenza storica deve indagare i principi secondo cui la storiografia qui inconsciamente procede” (p. 27), il compito principale è di determinare le norme che noi eleviamo a “criteri della tradizione e a veicoli dell’esposizione” (p. 26) sulla base dell’unitarietà dei caratteri. La storia è organizzazione su un piano intellegibile di contenuti, che sono espressione e  riflesso della vita.

 Il secondo capitolo si apre con il tema delle leggi, e riguarda per Simmel soprattutto l’ideale di unità del sapere, di uniformazione della pratica storica alle norme della conoscenza. Rispetto alle leggi storiche è affermato il ruolo della filosofia prima e dopo la formulazione di leggi, che inficia la possibilità stessa di una metodologia scientifica nella conoscenza storica. Ai fini della comprensione, che è il vero obiettivo della scienza storica, sono però necessarie leggi universali. Nella prima edizione dei Problemi si parla di leggi come anticipazioni metafisiche. Tale concetto viene ribadito nella seconda e nella terza edizione:

La riflessione metafisica estrapola un fenomeno che vede ripetersi più volte, e ne fa la misura di tutte le cose. Poiché il suo materiale sono i fenomeni più complessi, essa applica direttamente questa misura ai rapporti complessi della realtà empirica. Per lo più essa si accontenta dell’impressione generale prodotta su di noi dall’azione congiunta dei fattori reali e che essa proietta su un accadere unitario fondamentale, disdegnando, di regola, di scomporre quei fenomeni complessi nelle loro componenti. La metafisica… [ha posto], con una sorta di rotazione di 180°, dietro alla realtà, come suo fondamento assoluto, quella stessa distanza dalla realtà che in effetti era connessa all’apparenza superficiale e alla prima impressione soggettiva… Con ciò tuttavia essa ha raggiunto una prima unificazione e un primo dominio spirituale dei fenomeni, che solo all’arroganza empiristica può venire in mente di considerare senza valore in quanto è solamente un inizio e non una fine (p. 89).

Espressione di un punto di vista e di un tentativo di unificazione, la legge ha una validità relativa, non assoluta, la cui relativa legittimità è resa possibile dalla nuova concezione di realtà umana individuata nella moderna società industriale. L’interazione tra le serie, lo scambio, ha prodotto delle obiettivazioni, delle forme che rappresentano delle sintesi irriducibili ai singoli. Allo stesso modo l’insieme delle leggi storiche, cioè dei punti vista che possono anche escludersi a vicenda, avrebbe il valore di giungere ad una maggiore obiettività, ad un’unità sintetica che si pone come via per l’Assoluto. Dalle conclusioni tratte a proposito del problema delle leggi, dal relativismo intrinseco, nasce il problema dell’oggettività. Comune a tutte le edizioni dei Problemi è l’inaccessibilità delle leggi così come comune è la descrizione di queste come una visione artistica del reale. La conclusione estetica è la medesima, pur tuttavia per ragioni diverse. Nella prima edizione ad inficiare le leggi è la differenza tra scienze della natura e scienze dello spirito, mentre nella terza la differenza è quella tra storia e vita. Manca in ogni caso la corrispondenza tra conoscenza e oggetto del conoscere.

Il tema critico viene introdotto da Simmel a partire dalla seconda edizione dei Problemi con l’obiettivo di porsi contro il realismo gnoseologico o storicismo; secondo Raymond Aron, il motivo per cui lo fa, è che solo la critica poteva aspirare alla verità. La precondizione della conoscenza storica in questa seconda fase diventa la mutata concezione di individuo che emergeva dalle opere esaminate in precedenza, questo suo porsi tra la vita e le forme, questo suo tendere all’assoluto sulla base di una mancanza avvertita. Se idealità significa ricomposizione dei fenomeni sotto un punto di vista unitario, l’unica disciplina che può fornire una comprensione adeguata è l’arte, poiché in grado di cogliere quel nucleo essenziale che sfugge invece alla psicologia. Attraverso l’idea che la forma artistica colga il nucleo di senso della vita senza trasporla su un altro piano, Simmel si lascia ispirare da Schopenhauer per affermare il carattere estetico della storiografia.

Tuttavia Simmel per opporsi al realismo storico, non può sviluppare la metafora artistica fino alle sue estreme conseguenze, pena l’inficiare della scientificità della scienza storica. Per questo Simmel ammette che se alla base delle ricerca c’è la sensibilità personale dell’interprete, la scienza storica si articola lungo alcune categorie obiettive che sono quelle forme di cognizione attraverso le quali arriviamo al senso e alla comprensione. Troeltschha fornito una classificazione per la quale queste categorie sarebbero di quattro tipi: selezione, individualità, totalità, significatività. Ciò che risulta chiaro dall’enunciazione di queste categorie  è che Simmel su base kantiana voglia affermare che l’attività del conoscere è in ogni caso l’attività del donare una forma a ciò che una forma non ha. Se gli apriori nella prima fase erano dei contenuti psicologici, e come tali avevano causato difficoltà tali per cui Simmel abbandona l’idea di trovare leggi nel senso delle scienze naturali in campo spirituale, in questa seconda fase gli apriori sono ideali, autonomi rispetto all’esperienza. Il problema non è più portare alla luce le loro ultime condizioni reali ma scoprire la logica interna di connessione che noi stessi poniamo. Affermare l’importanza dell’individuo nel porre queste categorie rende chiaro il senso in cui Simmel riprenda Kant in questa fase. Come Kant aveva liberato le scienze della natura dal realismo gnoseologico, così Simmel rivendica il ruolo dell’individuo come legislatore della storia nei confronti del realismo storico, in particolare dell’ideale rankiano dell’oggettività storiografica. Tuttavia Simmel non accoglie l’impostazione critica kantiana, le sue categorie sono forme di unione, sono unità complesse che non appartengono però ad un piano trascendentale. Non è possibile pertanto determinare un avvenimento storico su base oggettiva mediante categorie universali e necessarie.

Se le categorie si pongono in un piano intermedio, al di sotto e al di sopra e ad un altro livello rispetto alla storiografia, si trovano gli interessi non teorici e quelli speculativi. I primi rappresentano le nostre reazioni affettive, le quali fissano un’immagine teorica sulla base di pregiudizi inconsci, e determinando il tono dell’immagine nel suo insieme, i secondi intervengono per fornire compattezza a queste immagini. Il punto fondamentale per Simmel è che quest’immagine è già in una certa misura autonoma, ideale, in virtù proprio di quel tono dato dalle nostre reazioni affettive che orientano l’indagine. Gli interessi speculativi elevano l’interesse ad autonomia, fornendo la base per la metafisica della storia.

Simmel fornisce a proposito due esempi: il caso del Progresso nella storia e quello del Materialismo storico, dove è particolarmente interessante l’analisi del secondo. Simmel non vuole criticare la dottrina marxista in sé, che vede anzi come paradigma importante per interpretare le trasformazioni storiche, ma solo discutere i suoi principi gnoseologici e psicologici. Marx sceglie come a priori ideale il fatto che economia e valori ideali siano intrecciati tra loro; egli sostiene che se questo intreccio di leggi fosse svelato in tutto il suo corso ne deriverebbe la possibilità di ricavare dallo sviluppo dell’economia l’evolversi di tutti i contenuti storici. Se il tentativo di Marx rappresenta l’importanza dell’operare una scelta tra tutte quelle che potevano essere le motivazioni ultime, e quindi uno strumento contro il realismo ingenuo, occorre tenere presente che si tratta soltanto di un’ipotesi psicologica. L’errore del materialismo è stato quello di voler riconoscere questa teoria non solo come fondamento conoscitivo, ma anche come fondamento reale del mondo storico, dimenticando che la realtà è costituita da relazioni infinite, in un “processo senza fine e senza inizio per noi conoscibile(p. 156). Egli avrebbe confuso un principio euristico con un principio costitutivo, ovvero un principio fisso in partenza e capace di sviluppare i fatti al proprio interno, laddove invece per Simmel la causalità è inconoscibile.

Dal saggio I Problemi della filosofia della storia emerge come la storia si distacchi nettamente dalla realtà o data. Tutto ciò non significa rassegnazione; è proprio dalla distanza, che appartiene all’arte, che risiede il diritto all’esistenza della storia. L’etichetta di “scetticismo” viene fornita secondo Simmel solo da chi pretende che la storia coincida con la verità, in questa prospettiva anche Kant poteva essere considerato uno scettico. Secondo Simmel è il realismo ad imporre al conoscere un compito che non può assolvere perché contraddice la sua essenza.

 

3 pensieri su “Georg Simmel, I problemi della filosofia della storia. Una recensione di Francesca Borsari

  1. scusate per il ritardo nella risposta, ma ci sono stati alcuni problemi tecnici 🙂 fate pure, vi inseriremo anche noi nel blogroll

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