Bias utili, i limiti della ragion pura. Recensione a “L’errore di Cartesio” di Antonio Damasio

Il capitano Kirk e Spock, emblemi cinematografici rispettivamente delle passioni umane e della ragione. Nonostante siano in antitesi, i due protagonisti sono uniti da una profonda amicizia

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E’ da sempre un imperativo categorico. Separare l’emozione dal ragionamento. E così facendo, si perdono le basi stesse di ciò che chiamiamo ragionamento, ciò che lo anima, lo motiva, né da i valori, il respiro, qualche volta anche il metodo. C’è una moda culturale che ha origini antiche fra gli studiosi che si occupano del problema mente – cervello: quella di concentrarsi sul ragionamento e sulle facoltà logiche, e di considerare le emozioni come una “complicazione” piuttosto deplorevole, di nessuna reale importanza per la reale comprensione di come funzioni la mente. Se invece danno importanza alle emozioni, se sembrano considerarle nelle loro teorie, le vedono come qualcosa di separato dall’attività intellettuale, come se la nostra mente fosse l’equivalente malfunzionante di un computer (una riduzione che spiega benissimo Roberto Marchesini nel suo Post Human, qui la recensione). Questa moda culturale, secondo Antonio Damasio, è l’”errore di Cartesio”, Cartesio a cui è notoriamente attribuita la frattura moderna fra mente e corpo, fra ragione ed emozioni. Damasio è un neurologo portoghese molto eclettico che si è convinto, tramite le sue osservazioni su pazienti con danni cerebrali, che quell’astrazione che chiamiamo “ragione” e che separiamo dei sentimenti, da sola, sia insufficiente per il buon funzionamento dell’intelletto. Danni a certe aree del cervello, in particolare alla corteccia prefrontale, possono lasciare il paziente apparentemente in buona salute, ma incapace di prendere decisioni complesse. Tale paziente, per esempio, può comprendere i fattori coinvolti nella conduzione della propria attività economica, ma può tuttavia elaborare decisioni che sono palesemente disastrose. Il processo decisionale così asettico e robotico descritto da molti scrittori di fantascienza, quello che caratterizza i processi mentali di super computer o di Spock della ciurma di Star Trek è in realtà tipico di individui cerebrolesi, ma non funziona nel mondo reale. In altre parole, abbiamo bisogno dei nostri pregiudizi emotivi (bias) per prendere decisioni, e per la nostra vita. Altrimenti, “non funzioniamo”.

Phineas Gage fotografato assieme alla sbarra che gli distrusse il lobo frontale

L’esempio più vivido degli effetti del danno cervicale prefrontale è Phineas Gage. Nel 1848, nel New England, Gage subì un infortunio passato alla storia. Mentre lavorava, un ferro schizzò in aria attraversando la parte anteriore del suo cranio e distruggendo gran parte del settore frontale del suo cervello. Sopravvissuto all’incidente, in un primo momento sembrava addirittura essere quello di prima. Tuttavia, la sua personalità era stata profondamente modificata; dall’essere un caposquadra responsabile era diventato inetto e irresponsabile, incapace di mantenere un qualsiasi lavoro per un certo periodo di tempo. Damasio descrive questo caso a lungo e discute anche di altri casi simili di cui ha avuto esperienza diretta. Fornisce i dettagli di come i suoi pazienti eseguano test mentali e di come le loro vite siano state colpite da profondi cambiamenti. Come Gage, questi pazienti erano apparentemente più o meno intellettualmente capaci, ma la loro capacità di “funzionare” come esseri umani completi era sottilmente ma profondamente compromessa. Ad esempio, uno di questi pazienti aveva un tumore al cervello che fu rimosso con successo, ma i suoi lobi frontali vennero irrimediabilmente danneggiati durante l’operazione. Anche se la sua intelligenza non fu influenzata dal trauma, tuttavia non riusciva più a portare avanti il suo lavoro. Per esempio, dovendo lavorare, si concentrava su un solo compito, insistendo per molto tempo, anche una giornata intera, su di esso, anche quando era urgente passare ad altro. Avrebbe perciò gestito attività isolate in maniera splendida, ma senza riuscire ad integrarsi in un quadro più ampio di riferimento. Perse il suo lavoro, fu coinvolto in incaute speculazioni finanziarie, e finì in bancarotta. Non era più in grado di imparare dall’esperienza e dalle decisioni disastrose che prendeva.

Quindi, cosa c’è che non va in pazienti come questi? Cosa manca? La risposta, secondo Damasio, è nei bias emozionali. Nelle persone con cervelli normali, le decisioni sono “ponderate” dalle emozioni, e questo consente loro di prendere decisioni velocemente e in base ai loro sentimenti. I pazienti con danni ai lobi prefrontali, al contrario, sono come robot. Egli illustra questo concetto splendidamente per mezzo di un aneddoto.

Un paziente con questo tipo di danno cerebrale aveva guidato verso l’ospedale su strade ghiacciate; aveva poi successivamente raccontato le sue esperienze mentali, e cioè come avesse evitato gli incidenti con calma, applicando le regole per la guida su ghiaccio, mentre altri automobilisti erano in preda al panico e in preda ai freni inutilizzabili delle loro auto. Eppure, il giorno dopo il paziente si trovò a dover decidere tra due date per un suo prossimo appuntamento col dottore, e trascorse mezz’ora ad elencare i vantaggi e gli svantaggi per ciascuna delle date proposte, fino a quando, in preda alla disperazione, fu Damasio a suggerirgliela. Dopo di che l’uomo lo ringraziò, mise da parte il suo diario e se ne andò. Questo episodio, dice Damasio, illustra i limiti della ragion pura nel prendere decisioni. E ricorda molto la storiella medievale dell’asino di Buridano, solo che è la sua vulgata in chiave neurologica.

Antonio Damasio

Il famoso “penso dunque sono” di Cartesio è profondamente sbagliato. Secondo Damasio, il pensiero è un sviluppo evolutivo piuttosto tardo. Prima del pensiero c’è ora e c’è sempre stata la sensazione; siamo organismi in primo luogo dotati di impressioni e sentimenti, stati d’animo e percezioni. Sbagliano allo stesso modo coloro che considerano la mente un software incorporato in un cervello (hardware). Gli scienziati cognitivi che parlano in questo modo (Damasio pensa forse a Dennet) cadono inconsapevolmente in un nuovo tipo di dualismo. Questa critica ha importanti ripercussioni sul mondo della medicina, di cui Damasio è pienamente consapevole.

Gran parte del libro parla delle funzioni del cervello, ma Damasio centra una questione fondamentale spiegando che non è solo il cervello che dobbiamo mettere a fuoco, ma dobbiamo considerare tutto il corpo nel suo complesso. Egli usa la metafora di un paesaggio per descrivere questa idea. Le viscere (cuore, polmoni, intestino) ed i muscoli sono i componenti di questo paesaggio, e una sensazione è una visione momentanea di una parte di quel paesaggio. Questi sentimenti sono assolutamente indispensabili per le funzioni primarie e complesse di un essere umano, come per l’etica umana: “se non fosse per la possibilità di percepire gli stati del corpo che sono intrinsecamente ordinati al dolore o piacere, non ci sarebbe sofferenza o felicità, nessuna nostalgia o pietà, nessuna tragedia o gloria nella condizione umana“.

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