Parresia socratica: pensiero e vita in Foucault e Arendt

(di Eleonora Corgiolu)

«Io stimo tanto più un filosofo quanto più egli è in grado di dare un esempio. Non vi è dubbio che con l’esempio egli possa portare dietro di  sé popoli interi […]. Ma l’esempio deve essere dato con la vita visibile e non semplicemente con dei libri, a quel modo quindi che insegnavano i filosofi della Grecia». La citazione è tratta da Schopenhauer come educatore, uno dei saggi appartenenti alle Considerazioni inattuali di Friedrich Nietszche. Trasformare la ricerca filosofica in una testimonianza di vita si può realizzare attraverso una continua analisi di sé: unico antidoto per salvarsi dai meccanismi alienanti che si infiltrano e logorano il mondo della vita. Questo concetto di cura di sé è intrecciato al ruolo della parresia, parola che possiamo tradurre dal greco con l’espressione “parlar franco”. Su questo tema è possibile leggere la trascrizione di un seminario tenuto da Foucault  nel 1983 e intitolato Discorso e verità nella Grecia antica (con una bella introduzione di Remo Bodei).

L’obiettivo di Foucault è affrontare il problema di un’etica della verità attraverso la problematizzazione del concetto di parresia dal V sec a. C fino alle origini del cristianesimo, cioè attraverso un’analisi del processo che ha portato a riflettere su certe pratiche ed esperienze prima accettate in modo acritico. La parresia è descritta come un gioco tra il parresiastes, colui che dice la verità, e l’interlocutore: «la funzione della parresia non è di dimostrare la verità a qualcun altro ma è quella di esercitare una critica. Una critica dell’interlocutore o anche di se stesso» (Discorso e verità, pag.8). Nella prima lezione , intitolata “Significato ed evoluzione della parola parresia”, Foucault distingue due tipi di parresia: in senso dispregiativo, quando il termine indica dire tutto ciò che si ha in mente; in senso positivo, quando parresia significa dire la verità, intesa come perfetta coincidenza tra opinione e verità. In questo senso, il parresiastes è caratterizzato da delle precise qualità morali, in primis il coraggio di esporsi al pericolo. Infatti, scrive Foucault, il parresiastes «rischia la vita per dire la verità invece di riposare sulla sicurezza di una vita in cui la verità resta inespressa[…] egli preferisce essere uno che dice la verità piuttosto che un essere umano falso con se stesso» (Ibidem, pag. 7).

Nell’antica Grecia la parresia era la principale caratteristica degli uomini liberi, che con onestà si esponevano e parlavano pubblicamente («E’ da schiavo non dire ciò che pensi» dice Giocasta nella tragedia Fenicie di Euripide, analizzata da Foucault durante la seconda lezione del suo seminario). La parresia è quindi distinta dalla chiacchiera senza freno che si esercita attraverso la forza della voce e l’arroganza; al contrario, la parresia si nutre di saggezza e cultura.  Il seminario affronta il legame tra parresia e retorica, parresia e politica, parresia e filosofia.

In questo ultima accezione , per filosofia si intende arte della vita e cura di sé. Nella parte dedicata al legame tra parresia e cura di sé, Foucault fa riferimento alla parresia socratica. Attraverso i dialoghi di Platone, infatti, Socrate emerge come parresiastes poiché invita i cittadini incessantemente a prendersi cura della propria anima. La parresia socratica consiste nel condurre l’ascoltatore a rendere conto ( logon didonai) di sé e del modo in cui ha vissuto. Il testo usato come riferimento da Foucault per descrivere la figura parresiastica di Socrate e il Lachete. Riportiamo le parole analizzate di Nicia, uno dei protagonisti, che secondo Foucault descrivono al meglio Socrate come parresiastes: «Non mi sembra che tu sappia che chi si trovi a ragionare con Socrate, come capita, ed entri in conversazione con lui, qualunque sia il soggetto in discussione, è trascinato ed è costretto a continuare finché non casca a render conto di sé, del modo in cui ha trascorso la sua vita, e una volta che c’è cascato, Socrate non lo lascia più prima di averlo passato al vaglio ben bene e in ogni parte.» (Discorso e verità, pag. 62). Nei ritratti che abbiamo da Platone e Senofonte, sostiene Foucault, Socrate non è interessato al resoconto biografico o ad un’ammissione di colpe del suo interlocutore ma ad indagare se vi è una corrispondenza tra “logos” ( discorso razionale) e “bios”, il modo in cui si vive.

Socrate può svolgere il ruolo di “pietra di paragone” perché in lui vi è corrispondenza tra parole e azioni. Socrate come simbolo di filosofia intesa come testimonianza di vita, ruolo che si è assunto grazie alla sua morte, suggello estremo dell’aderenza con la vita alla teoria sostenuta. Questa interpretazione di Socrate come testimonianza di vita la ritroviamo anche in Hannah Arendt.

L’autrice dell’opera Le origini del totalitarismo, infatti, indica Socrate come il paradigma della capacità umana di giudicare in maniera critica ed autonoma (cfr. H. Arendt, Socrate, Raffaello Cortina Editore). Arendt, astraendo Socrate dal suo contesto storico, lo rende il simbolo dell’uomo capace di confrontarsi con la pluralità umana.  Contro la “tirannia del vero”, Socrate è colui che esercita il dialogo e, attraverso un confronto con la molteplicità delle opinioni, cerca la via di una mediazione comune, mai dogmatica ma sempre suscettibile di essere messa in discussione.  Questo incessante dialogo si attua attraverso l’esercizio infaticabile del pensiero: «Il Vento del pensiero distrugge le opinioni, i valori, le dottrine le teorie irriflesse». (Arendt, La vita della mente).

Socrate per Hannah Arendt è colui che ha scoperto il due-in-uno, cioè il dialogo del pensiero con se stesso che ha sede nella coscienza. La pluralità, cioè, intesa come condizione ineliminabile degli uomini si ritrova all’interno dell’uomo stesso al punto che, per saper vivere con gli altri, dobbiamo saper vivere prima con noi stessi perché «è molto meglio essere in disaccordo con il mondo intero che, essere in disaccordo con me stesso».

Per poter essere in grado di esercitare il pensiero è necessaria l’esperienza della solitudine: «Nell’ideale della solitudine realizzo l’essenziale dell’alter []L’esser-altro da, l’alterità stessa, indica soltanto la pluralità. Il fatto che io possa realizzare questa pluralità stando con me stesso è la condizione della possibilità che io sia con gli altri in qualità di altro». (Arendt, Quaderni e diari).

Nonostante la brutta considerazione che ne aveva Nietzsche, Socrate è per noi il miglior modello di parresiastes, il simbolo di colui che incarna la filosofia come testimonianza autentica di vita: un pensiero anti dogmatico che , proprio attraverso l’esercizio della riflessione, ci persuade ad analizzare il nostro modo di vita e a renderne conto a noi stessi e agli altri.

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